Di Chiara Orsetti

Pop X è una figura mitologica. Ho le prove dell’esistenza di questo progetto solo perché l’ho visto con i miei occhi, sia sul palco che dietro le quinte, altrimenti avrei pensato a un bel prodotto sul web ma con chissà quali risultati dal vivo. E invece non solo esiste, ma vive e lotta con noi in questo momento di grande incertezza, e conquista ancora una volta con il suo sound tra il videogame anni ‘90 e le sonorità latine e con la sua malinconoia velata e costante. Citare Masini in una recensione sul disco di Pop X è già qualcosa di bizzarro, ma forse non sarà la sola stranezza di queste righe.

Si chiama Antille la nuova fatica discografica di Pop X, alias Walter Biondani e Davide Panizzi, e arriva dopo due anni di silenzio. Dieci brani in tutto, scritti da Walter e arrangiati da Davide, e messi insieme per la voglia di continuare a suonare insieme.

Pop X traccia per traccia

Una baracca sotto il sole per aspettare il cimitero

Il primo brano è anche la title track, Antille. Pop elettronico, sintetico, da non lavare a più di 40° se no infeltrisce. C’è l’uomo nero, non c’è più tempo per ballare e c’è aria di qualcosa che sa arrivare sempre e comunque a prescindere da quello che tu stia facendo per ingannare l’attesa.

E se ne andava in giro come un accattone / Vagando tutto nudo per il meridione

È poi la volta di Barboni, un remix tra tu vo’ fa l’americano già remixata che parla di vite al limite, anche se non si capisce esattamente se il limite sia quello convenzionale o qualcosa che va oltre. Come se l’estate non fosse mai finita si balla e ci si perde per le strade. E fa prendere bene.

C’era un pianeta che cadeva giù / E ho perso il controllo

Nebbia post serata, post hangover, chissà. Comunque Baila non è un consiglio, è una necessità. Se tutto sfugge e non riesci ad afferrarlo, balla con chiunque tu abbia intorno. La testa gira. Ma poi non mi ricordo.

Non ho voglia di andare al mare / Voglio stare a casa a nuotare / Sulle sdraio di bambù

Profezia o coincidenza che sia, ecco arrivare Barricati. In questo momento di quarantena obbligata ha il potenziale per diventare l’inno delle strade deserte e della malinconia, della ragione e della follia che si danno il cambio, come i sentimenti di un prigioniero.

Se avessi i soldi starei sempre in letargo / Ma questo sogno è impossibile

Alla ricerca di nuovi cieli sotto cui sdraiarsi è il mood di Il cielo è perso. Elettronica ancora di più, si muove e fa muovere la testa. E anche qui c’è qualcosa di stranamente amaro collegato al periodo storico, in cui ahimè il letargo molto somiglia, almeno per chi è in salute e non è ogni giorno a combattere le forze del male.

Correre, correre sì / Ma per andare dove, ancora non lo so

Non ho ancora capito se Onde racconta l’amore tra due persone, o tra una persona e il mare e il suo movimento. Il brano dedicato al surf, all’oceano, al ballo sulla tavola ad agosto o a quello mani nelle mani… Entra in gioco una tromba niente male, che fa sognare l’estate oggi più che mai.

Sono tornato perché non sapendo dove andare / Ho girato venti minuti e mi è venuta fame

Tridente è la canzone della fame chimica, delle buone intenzioni che si perdono ai primi crampi allo stomaco, della voglia di andarsene ma anche no. Mi hai rotto tutto, ma poi torno a vedere se qualcosa di buono è rimasto. Apprezzabili le storpiature dell’invito classico in Vaffanchiulo e il vaffamaghreb, effettivamente di grande stile. Si respira meno voglia di ballare, qui ci si ferma un po’e si fa autoflagellamento. Ci sta.

Che non è rimasto un uomo a parte me / Nelle strade solo il vento adesso c’è

Pesta duro Down. Pesta duro come la mancanza di qualcosa di essenziale. Martella come martellano le casse, e il piano sopra quasi sembrano i discorsi di chi ti dice di pensare ad altro. La sovrapposizione dei pensieri si mescola al vento che soffia. Mi manchi da morire nella storia del cielo. Mi sa che il vento soffiava forte quel giorno.

Rimase accanto alla finestra senza piangere / E ballando si mise a scrivere parole magiche e pensieri senza senso né attitudine

D’Annunzio è il primo singolo estratto, nonché una delle prime canzoni composte da Pop X. L’obiettivo di tale composizione, leggo in rete, era quello di salvare la musica. Intenzioni ambiziose, ma sicuramente coraggio da vendere. Anche qui si balla un po’, anche qui sembrano tanti i riferimenti musicali, nonostante il risultato sia più unico che raro.

E il cielo non lo guardavamo mai / Ma mi ricordo ancora quelle nuvole sopra di noi

Siamo arrivati alla fine. Ape è una rumba tutta strana, parla di infanzie e di ricordi, di nostalgie e di cose che non torneranno più ma che fa sempre piacere ricordare.

Il bello di Pop X è che piace a chi non si ferma a riflettere e anche a chi ci ha riflettuto, ma se ne frega e continua ad ascoltare. C’è rapimento, c’è poesia, c’è sentimento. C’è per chi lo vuole vedere, almeno. Per tutto il resto c’è la chitarra classica. Per assurdo è uno dei migliori sottofondi possibili contro il logorio della vita moderna. Perché non pensi a meno che tu non voglia farlo, ed è un lusso che in pochi possono concedersi.

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