Di Jamie Saft e Joe Morris non si può dire che siano pigri: ne raccontavamo le gesta pochi mesi fa in quintetto con Mary Halvorson, Chris Lightcap e Gerald Clever su Plymouth (qui la recensione), ed eccoli di nuovo all’opera.

L’occasione è una collaborazione di altissimo profilo con la tromba di Wadada Leo Smith, accompagnati dalla batteria di Balazs Pandi, per Red Hill, sei tracce di impro jazz che riproducono le fattezze di un incontro di alto rilievo.

L’apertura, con Gneiss, è lasciata proprio alla tromba di Smith, che si riverbera sui vuoti iniziali del disco. Poi, piano piano, appaiono sulla scena anche gli altri protagonisti del disco, mettendo in mostra fin da subito le proprie qualità.

La seconda tracca, Janus Face, cerca di riempire i vuoti con movimenti frenetici del contrabbasso e con il rumoreggiare di fondo della batteria, cui più tardi si aggiunge il pianoforte, mentre la tromba si alza di tanto in tanto, quasi solitaria.

Ancora movimenti all’oscuro per Agpaitic, in cui Saft passa al Fender Rhodes. Al contrario del precedente, che finisce in crescendo, il pezzo prende una via alternativa lasciando il finale alla sola sezione ritmica.

Con Tragic Wisdom l’approccio e gli spazi sembrano più equilibrati, con le note argentine del pianoforte di Saft a prendere la scena all’inizio. Anche quando entra la tromba di Smith in questo caso è la maestria di Saft a pretendere attenzione, in una gara di abilità non secondaria.

Atmosfere molto più pacificate quelle che introducono Debts of honor, anche se soltanto in apparenza: il sentimento si muta in inquietudine ben presto. Pregevole l’intermezzo centrale in cui alla tromba di Smith si lascia spazio per un piccolo assolo, in cui c’è spazio anche per un pizzico di ironia.

Si chiude con l’incisiva e incalzante Arfedsonite, di nuovo magmatica e ribollente, ma anche capace di scendere nell’intimo con sonorità profonde.

Al di là delle emozioni d’impatto trasmesse dai pezzi e spesso dai singoli suoni, è interessante seguire l’evoluzione di ogni singolo pezzo.

Non c’è un progetto, com’è ovvio che sia nell’improvvisazione, ma come esseri organici i brani prendono una vita autonoma che risce a essere coerente grazie alla maestria dei musicisti coinvolti.