Arrivati al loro secondo disco, intitolato Si vuole scappare, la band livornese dei Siberia riesce a trasportare in una dimensione molto diversa da quella a cui l’indie italiano ci ha ormai assuefatto. Una cupezza drammatica, una sensazione di spaesamento costante si diffonde traccia dopo traccia, regalando spunti di riflessione nati dal disagio creativo che le ha create. A rispondere a queste domande è Eugenio Sournia, voce e chitarra della band.
Il vostro nuovo album avvolge chi ascolta in un’atmosfera un po’ cupa, lontana dalle sonorità di riferimento dell’attuale panorama musicale. Decisione controcorrente o necessità di seguire un’attitudine?
“Semplicemente, è quello che ci sentivamo di fare; anzi, in qualche modo ti assicuro che la produzione di Federico Nardelli ha contribuito ad “arieggiare” un po’ l’atmosfera! Comunque credo che forse fosse più il primo disco a comunicare un’atmosfera di cupezza; questo disco lo definirei casomai sofferto, per certi versi duro, ma non eccessivamente cupo. Ciò soprattutto perché comunque l’energia riesce sempre a trovare uno sfogo per emergere, i brani riescono sempre a “risolversi”.
E le risoluzioni implicano riflessioni intense, notti consumate e dischi che girano per accompagnarle. Ci sono sempre note, interpreti, parole che sembrano capire fino in fondo il nostro stato d’animo.
Obbligatorio chiedervi chi sono i vostri artisti di riferimento, quelli che rimangono immortali nelle vostre librerie musicali…
“Veniamo tutti da panorami musicali molto diversi; chi dalla musica elettronica, chi dal post rock, chi dalla canzone italiana, chi dall’indie rock. Sicuramente esistono artisti che sono stati in grado di mettere d’accordo molti di noi; per esempio, mi vengono in mente Battiato e i CCCP, che pur nella loro diversità mostrano come si possa fare musica colta senza rinunciare all’orecchiabilità”.
“La new wave è un riferimento principalmente mio (Eugenio), e se in passato i miei compagni hanno avuto l’umiltà di seguire questa strada, per il futuro vorremmo provare sempre più a trovare i nostri stilemi, diminuendo sempre più la percentuale di ciò che può essere identificato facilmente come appartenente a un genere”.
Inevitabile arriva il confronto con l’esterno. Dopo aver creato, è necessario capire se quello che abbiamo sentito può essere condiviso, può essere sofferto, sperato, dedicato anche a qualcuno che sta al di fuori di noi.
Avete partecipato alle selezioni per Sanremo Giovani, arrivando a esibirvi in diretta nazionale. Credete nel potenziale del mezzo televisivo per ottenere visibilità e successo?
“Nessuno di noi parteciperebbe mai a un talent propriamente detto. Non siamo particolarmente attenti a gestire la nostra immagine, vorremmo lasciar parlare i contenuti, e semplicemente quei format ci sembrano troppo “rapidi” per poter veicolare adeguatamente una band come la nostra. Come diceva qualcuno, “il mezzo è il messaggio”: è anche attraverso i canali che si sceglie di utilizzare per promuoversi che si dà una prima immagine di sé. Ciò nonostante, l’esperienza a Sanremo è stata piacevole, e sarebbe bello, in futuro, ritornare a proporre la propria musica in televisione; magari con alle spalle un background più solido”.
Una bella esperienza live sta per concretizzarsi: vi esibirete sul palco dello Sziget Festival di Budapest il prossimo 14 agosto. Che tipo di spettacolo porterete in scena?
“Stiamo lavorando alla scaletta per il tour estivo. Cercheremo di focalizzarci ancora di più sull’energia, consci che nei festival spesso si ha a che fare con un pubblico dalla soglia di concentrazione più bassa. Vogliamo dargli una bella botta!
È ancora questione di energia. È sempre questione di energia.
“Alternando Delorazepam e vino” è una frase di “Nuovo Pop Italiano” che ben rispecchia uno spaccato del nostro tempo. In una società come quella che stiamo vivendo, in che modo la musica può dare una mano a non perdere di vista quello che conta?
“Il mio maestro di musica da piccolo mi diceva che il musicista è colui che più si avvicina a Dio, perché la musica è per definizione ineffabile. Puoi spiegare perché un quadro o una poesia sono belli, in un certo senso; molto più difficile è spiegare perché una certa melodia ti commuove o ti eccita”.
“Ecco, credo che questa caratteristica della musica sia ciò che la rende impareggiabile nel fare compagnia alle persone nel corso della vita quotidiana: e unita a un testo significativo, può davvero penetrare a fondo nell’anima di chi ascolta. Per questo chi fa musica ha un’enorme responsabilità, di cui spesso non si rende conto”.
Musicisti consapevoli, in effetti, in giro ce ne sono pochi. Molti convinti, molti sospinti.
Una piccola sfida: ci regalate una playlist per l’estate, che riesca a coniugare le vostre sonorità e la spensieratezza che, si spera, l’estate che sta per iniziare porterà?
Mi piace fare le playlist:
The National – Day I die;
New Order – Leave Me Alone
Franco Battiato – La stagione dell’amore
College ft. Electric Youth – Real Hero
The Ark – It takes a Fool to remain sane
Luca Carboni – Silvia Lo sai
Siberia – Ritornerà l’estate
Luigi Tenco – Lontano Lontano
Chiara Orsetti