Gli Space Traffic nascono nel 2015 dall’incontro tra Fabio Baldassarri (chitarra), Marco Gugliotta (batteria) e Marco Pica (basso e voce). Numbness è il loro disco d’esordio. Sin da subito il trio si lascia trasportare nella composizione di brani inediti dal contenuto rock, spaziale e psichedelico, dove emergono stili differenti che si mescolano in maniera inusuale e inaspettata. Li abbiamo intervistati.
Come nascono e come arrivano fin qui gli Space Traffic?
Gli Space Traffic nascono al tramonto del 2015 dall’incontro, un po’ casuale come spesso accade in queste situazioni, tra Fabio Baldassarri (chitarra), Marco Gugliotta (batteria) e Marco Pica (basso e voce). Venivamo tutti da alcuni anni musicalmente poco ispirati, eppure fin da subito la sintonia tra di noi è stata incredibile e naturale. Le note sembravano già scritte nella testa di ognuno…
Bastava solo chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dal sound. La sensazione di essere guidati da qualcosa di trascendente, quasi posseduti dalla nostra stessa musica. È bastato il primo tocco di basso o accordo di chitarra per farci capire che il linguaggio che usavamo era una cosa nuova, che però sembrava però esistere da sempre.
Era l’inizio del risveglio da un forte torpore che solo noi potevamo capire. Il tutto senza parlare ma solo dialogando con i nostri strumenti. Il risultato anche oggi è sempre lo stesso: la nostra musica è dettata da uno spirito viscerale e personale che si esprime in musica spaziale, dove ogni volta scopriamo ed esploriamo nuovi confini. Tutto ciò ci ha portati a trasporre queste sensazioni nel nostro album di debutto, Numbness.
Le esplorazioni spaziali sono un elemento costante della costituzione della vostra band: soltanto un elemento su cui giocare o siete veramente appassionati?
Entrambe le cose! Da una parte infatti il nostro nome si lega a un avvenimento realmente accaduto agli astronauti della missione Apollo 10. Mentre la loro capsula orbitava sopra al lato oscuro della Luna, infatti, le comunicazioni si interruppero improvvisamente e l’equipaggio udì una strana musica che la Nasa tentò di spiegare come causata dal traffico di oggetti spaziali entrati in contatto col campo magnetico del satellite.
Dall’altro lato però la storia della Nasa va vista un po’ come una provocazione, basti pensare che lo sbarco sulla Luna viene sempre più spesso messo in discussione! Alla fine di tutto lo Space Traffic è la congiunzione dei nostri tre viaggi nella musica e nella vita ed uniti in un’unica melodia.
Dicono tutti che il sound rock, e quello della chitarra elettrica in particolare, sia al tramonto, eppure a voi non sembra che la cosa preoccupi più di tanto…
Fino a un certo punto… Anche perché a noi non interessa seguire la moda del momento, avere più ascoltatori per poi essere qualcosa di finto. Suoniamo quello che ci piace e per come siamo fatti. Diversamente sarebbe come cercare di nascondere la nostra natura! La musica che in teoria va più di “moda” è costruita con campionature, sempre più robotizzata e computerizzata, sempre più “perfetta”.
Il che potrebbe andare bene per un ascoltatore robot. Ma l’essere umano non è così, è imperfetto come le sue emozioni… Come i suoni che escono dai nostri strumenti, forse “vintage” ma proprio per questo molto più umani. E alla fine la bellezza sta proprio nelle piccole imperfezioni.
Come nasce “Time Machine”, uno dei pezzi più “vintage” del disco?
Potremmo rimanere qua a parlare di Time Machine per almeno due ore! È un pezzo di impatto che parte in maniera un po’ vintage se vogliamo, ma che torna su territori più moderni nel chorus e che poi si perde in in un finale psichedelico, chiudendosi in maniera circolare. Time Machine parla dell’importanza di vivere nel presente senza farsi fregare dalla macchina del tempo, che in realtà è la nostra stessa mente, sempre troppo occupata a pensare al passato e al futuro.
Quali sono i vostri punti di riferimento musicali?
Sono davvero molte le influenze ma cercando di citare le maggiori preferenze…
Fabio: i grandi chitarristi degli anni ’70, compreso mio padre Maurizio Baldassarri.
Marco G.: David Bowie
Marco P.: i King Crimson e gli Yes.
Space Traffic traccia per traccia
Con un’apertura particolarmente articolata e affidata agli strumenti a corda, Numbness dà inizio al disco: il pezzo ha un suono quasi psichedelico, con cori e un’attività ritmica costante.
Ci sono aspetti pop marcati e anche qualche lato vintage in U Say U Love Me, che però mantiene un’armatura ritmica piuttosto robusta.
Chitarra in piena attività e molti sconfinamenti verso l’hard rock con Time Machine, che questa volta apre completamente le porte su universi psichedelici.
Più morbide le atmosfere di Powder & Pride, che è quasi una ballad, con chitarra e drumming protagonisti.
La chitarra apre, in maniera piuttosto enfatica, Hails of Love, che finisce con un certo parossismo elettrico.
Si recupera morbidezza in Mirror Game, che pure riacquista rapidamente vigore senza rinunciare a qualche tratto malinconico.
Pezzo molto altisonante, ecco poi Blue Moon, rumorosa e con qualche passaggio di ritmo, in cui si può leggere qualche influenza progressive.
Più diretta Tear it Down, che sa di rock’n’roll piuttosto puro anche se con fasi evidentemente notturne.
Fire from the Depth è ancor più rock e ancor più aggressiva e diretta. Si chiude con la lunga The Dream, proposta in versione live lunga undici minuti esatti, con un espandersi graduale di suoni e sensazioni.
Ci sono gusti spiccatamente vintage all’interno del disco degli Space Traffic, ma la band fa il possibile per non scadere nell’eccesso di nostalgia.