Ci vorrebbero i sottotitoli. Così in molti si sono incavolati con la scelta di doppiaggio di Zerocalcare per la sua Strappare lungo i bordi, disponibile da pochi giorni su Netflix e già in vetta alle classifiche. Ci vorrebbero i sottotitoli perché Michele parla romanesco, quel romanesco un po’ impastato che ci devi fare l’orecchio perché se no qualche pezzo te lo perdi per forza, e se perdi qualche pezzo del dialetto romanesco alla fine la battuta non la capisci proprio bene bene e il significato più profondo rimane un po’ meno chiaro.
E sticazzi però. Perché poi la vita fa uguale. Stai a Rebibbia, la vita parla la lingua sua, come mangia, cerca di fare quello che può con quello che ha, come i protagonisti della serie stessa e delle storie di Zerocalcare in generale. Non c’è un doppiaggio pulito e ordinato in cui una voce calda ti spiega con la giusta pronuncia che strada prendere, che ostacoli ti attenderanno lungo il tragitto, quali autobus contromano dovrai schivare seguendo il tuo percorso.
Un percorso che pensavi sarebbe stato semplice da seguire, da plasmare, bastava strappare lungo i bordi, dicevano, e tu ci credevi un po’, mentre aspettavi di affrontare la vita schivandola in ogni modo possibile. E invece no. La vita non la schivi, ti trova sempre, anche quando metti la testa sotto la sabbia sperando di non farti mai trovare, sperando che si dimentichi di te e vada oltre. E magari oltre ci va anche, ma di te non si dimentica. Ti viene a riprendere per la collottola, cattivo tu, ti porta a fare i conti con tutto quello che hai lasciato in sospeso, non importa se ormai è tardi e sono passati anni, non la farai comunque franca. Meglio abituarti fin da subito all’idea.
La storia scorre veloce come le vite dei protagonisti, si accartoccia su se stessa come le vite dei protagonisti, cerca di trovare una spiegazione al netto di egocentrismi e nevrosi che conosciamo ormai meglio delle nostre tasche perché sono di tutti. Una generazione disagio, che guarda alle vite degli altri sapendo che sono spiegazzate tanto quanto le nostre, ma da lontano e con i filtri giusti sembrano una figata, e finiscono col far sentire te un coglione, sempre uguale a te stesso e con l’angoscia di cambiare tipo di pizza.
Zerocalcare ci ricorda di essere tutti nello stesso mare, su barchette diverse magari, ma sempre trasportati dalla stessa corrente, che a volte è anche piacevole ma che a tratti sembra voler ingoiare. E qualcuno nella pancia della balena ci finisce anche. Se poi riesci a uscirne, restano le cicatrici. Le medaglie al valore. Quelle che poi ti siedi a raccontarle con un gelato in mano, magari fragola e cioccolato, che sono anche i miei gusti preferiti.