Andrea Labanca l’ho scoperto per caso, e spesso per caso succedono gli incontri più interessanti, anche se virtuali. Per non tornare è il suo terzo album, legato alle radici della canzone italiana intelligente ma divertente, con testi mai banali e ritornelli deliziosamente pop.

“È bellissimo perdersi per il gusto di non tornare” è una frase del brano che da il titolo al disco “Per non tornare”, appunto. Da quale luogo, fisico o mentale, stai scappando?

Qandrea labanca, cinque minuti conuella canzone l’ho scritta in modo impersonale all’inizio, non pensando a me, volevo solo scrivere una storia di un certo tipo. Mi sono accorto a posteriori che c’era dentro quella canzone molto del mio vissuto di qualche anno fa. Credo che la fuga sia sempre uno spostarsi da qualcosa che non ti permette di essere quello che vorresti. Io ho sempre bisogno di stimoli nuovi e di sfide, anche a costo di sfidare l’ignoto, penso che la mia fuga sia dal già visto e dal già sentito.

La prigione più grande dell’uomo è da sempre quella di cui si possiedono le chiavi. Una fuga da se stessi è ben più articolata di una fuga da un carcere di massima sicurezza.

“Fare l’amore” è il brano che ho inserito nella playlist estiva di TRAKS, ma nonostante il buonumore rende perfettamente l’idea di quanto le paranoie possano condizionarci le storie, e pure un po’ la vita…

andrea labanca, cinque minuti conQuello che succede fuori condiziona l’interno e viceversa ovvio, ma penso che ci sia troppo pessimismo in giro, troppa prostrazione. Dalla politica alla società in generale c’è poca ricerca del bello e di emozioni positive. Guarda i social: sono diventati lo sfogo di frustrazioni e rabbia, creandole talvolta. Penso che questa atmosfera negativa serva solo a tenere gli occhi della gente sulle cose piccole a non fargli guardare il cielo che è comunque più grande di noi e rimarrà dopo di noi. Non si cambia nulla col cattivo umore. Lavorare alle cose che ami, cambiare la tua vita tutti i giorni, amare le persone che ti stanno vicino, queste sono le cose che migliorano l’umore personale e permettono di immaginare un mondo migliore.

Fare le stesse cose col sorriso non costa fatica ma cambia la prospettiva. La vita se ne accorge se la stai prendendo in giro o se davvero te la stai godendo, e se te la godi magari sarà lei stessa a decidere di regalarti qualche soddisfazione in più.

Un po’ di Rino, un po’ di Enzo… le influenze musicali si intuiscono, ma c’è sicuramente qualcosa di imprevedibile tra i tuoi artisti del cuore, riferimenti letterari compresi?

Be’ Jannacci e Gaber di sicuro sono dei grandi riferimenti per me, non solo musicalmente ma come mondo di intendere lo spettacolo, il rapporto con l’arte. Io mi sono confrontato spesso con la performance e con il teatro e credo che in questo mio rapporto abbiano influito le visioni dei due grandi milanesi. Rino Gaetano l’ho sempre amato, ma è stata una sorpresa quando in studio ho alzato di tonalità la linea vocale di “Facciamo l’amore” scoprire che là mi ero sicuramente ispirato a lui nella scrittura. Tra gli italiani citerei Piero Ciampi e Bennato ma se devo essere sincero la mia adolescenza è fatta anche di tantissimo rap vecchia scuola Run-DMC, De La Soul, Arrested Development. Ora ascolto tanto Wilco e Jack White.

Adolescenze di un certo livello, insomma, con maestri di tutto rispetto che hanno segnato il passo e influenze “da giovani” che ne hanno plasmato la figura. È un’arte anche saper scegliere la musica con cui diventare grandi.

“Lago di Costanza” è la canzone del tuo album a cui ho dedicato più tempo e attenzione. Ci racconti come è nata è quello che rappresenta?

Durante lo Spaghetti Couchsurfing Tour, ci annullarono una data e dovemmo fermarci due giorni a Costanza, una città tedesca che si sviluppa proprio attorno all’omonimo Lago. Costanza è una città davvero suggestiva con un’atmosfera spettrale eppure romantica, piena di leggende. Una mattina mi svegliai attorno alle cinque, un orario in cui si vedono ancora bene gli spettri, e in qualche minuto scrissi la canzone, direi di getto, quasi in trance.

Gli spettri a fine notte sono quelli meno addomesticabili, che ti riconoscono e ti chiamano per nome, quelli da cui non si può fuggire e da cui non si vorrebbe tornare. Gli stessi spettri, però, sono anche quelli che permettono di scrivere canzoni, storie, di dare forma a un sentire.

Che idea hai della situazione attuale della musica in Italia, ma più in generale dell’intero ambiente culturale?

In generale non credo che sia un periodo di grandissima rivoluzione musicale, se ci pensi la novità della trap non è che un rap rallentato e con l’autotune, senza nulla togliere ad artisti straordinari quali Ghali, ma non vedo delle vere innovazioni di rottura. A me piacciono le sacche di resistenza, oppure le sperimentazioni pure, in generale cerco di sguazzare nei piccoli mondi sommersi. Per esempio la poetry-slam è un fenomeno che mi interessa molto, sia per l’aspetto aggregativo che per l’uso della parola. I raduni rock’n’roll mi piacciono sempre molto per l’atmosfera, credo che in Italia come anche in Europa, si stia un po’ col naso per aria cercando qualcosa di nuovo.

Per chi vuole fare musica e vivere di arte che prospettive ci sono?

Be’ ti risponderei come nel mio video di lancio di Carrozzeria Lacan “Intervista alla Televisione spagnola” ma è un’intervista scritta, quindi articolerò. Credo ci voglia tanto lavoro e fantasia, tanto lavoro sul territorio. Qualcuno ci ha convinti che con internet si può diventare famosi, ma io famosi da YouTube ho visto diventare soltanto dei deficienti che si rovesciano i bicchieri d’acqua in testa. Se vuoi fare musica devi suonar tutti i giorni e creare un bel rapporto con il pubblico, da lì arriva la possibilità di poter fare questo lavoro per più di sei mesi.

Ci consigli qualche brano da inserire nella playlist, che magari ci aiuti anche a conoscere qualcosa in più di te?

Italiani quindi? Ultimamente sto amando molto Gemitaiz e Ghali, ma penso che uno dei dischi più belli italiani sia sicuramente quello di Colapesce per linguaggio, intelligenza e scelte sonore. Non ti nascondo che l’idea di collaborare con un rapper mi entusiasmerebbe.

Gemitaiz è una mia passione, forse inconfessabile su un magazine come TRAKS. Ma ormai l’ho detto. E non solo: se capitasse una collaborazione tra Andrea e Davide sarei la prima a festeggiare, con un pezzo drammaticamente e irrimediabilmente trap in sottofondo.

Chiara Orsetti

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