E’ tutto sommato complicato recensire un personaggio “nuovo”, che però si è già guadagnato discreta popolarità per una serie di singoli. Perché ti sei già fatto un’idea, anche piuttosto precisa, e però invece devi cancellare tutto e ripartire da capo.
Perché, diciamocelo, Clavdio è un bel personaggio. I suoi primi singoli, Cuore, Ricordi, Nacchere, non si caratterizzano soltanto per il titolo composto da una parola sola, ma anche per una personalità spiccata e una certa libertà di scrittura, pur racchiusa dentro tutto il mondo che sta tra il cantautorato e l’indie pop. Tra Giorgio Poi e Calcutta, si potrebbe dire, ma forse con qualche schizzo in altre direzioni.
Fatto sta che si può approcciare Togliatti Boulevard, l’esordio del cantautore, pensando che sia un’ulteriore raccolta di singoli. E si sbaglierebbe, perché in realtà è un lp vero, con una logica interna e con una notevole varietà.
Clavdio traccia per traccia
Si parte da Cuore, probabilmente il singolo che ha lanciato di più il personaggio, per il cantato, per l’immagine del cuore marrone, per il beat insistente che contrasta con il piano. E naturalmente per il cinese. Un bel colpo senza dubbio, anche se come detto aspettarsi che tutto il disco sia della stessa marca è un errore.
“Guardo le mie vecchie foto/e mi rendo conto/di essere uno scroto/lanciato nello spazio”: è da questa presa di posizione un po’ forte che parte Foto, pezzo con qualche tentazione dance, ma moderata, e con molti anni 80 nelle vene.
Le tue gambe racconta di come “tutto il mondo sta andando a puttane/compreso me”, e lo fa con dolcezza e con arpeggi di chitarra acustica, proprio come un cantautore tradizionale, ma con un testo abbastanza immaginifico.
Tornano i synth con Serpenti, una sorta di racconto di sogno, con qualche immagine da incubo, piuttosto laterale rispetto al resto del disco. Suoni spaziali ed elettronica moderata aprono spazi vasti.
Tedesca torna a parlare di realtà concrete, facendo il ritratto di un tizio che “se facessero il campionato degli stronzi saresti il primo”. Sono ancora le sonorità del synth pop a fornire un background alle parole, con una chiusura un po’ Dorian Gray.
Anche Nacchere è uscita come singolo ed è vicina a un concetto di ballad, nostalgie e tutto, con oggetti che parlano e che muovono qualcosa dentro, ma niente di positivo.
Si continua a viaggiare con Suriname (non è difficile spiegarsi perché nel Suriname sono olandesi, peraltro, amico Clavdio: si chiama colonizzazione). Il pezzo è sostanzialmente psichedelico, decisamente il più surreale del disco.
Torna la chitarra in Amazon, pervasa da un certo dolore diffuso, nonché da visioni desolate di un futuro non lontano e catastrofico (la rima “Amazon/corazòn” è abbastanza geniale, va detto).
Ultimo pezzo è Ricordi, anch’essa già sentita in quanto singolo, e anch’essa con le caratteristiche della folk ballad acustica, che chiude il disco su note particolarmente nostalgiche.
Come si diceva all’inizio, i singoli sono un’invenzione simpatica, ma a volte fuorviante. Perché sono un buon biglietto da visita, ma è il disco la vera sostanza, soprattutto per un cantautore.
Ed è anche un test: reggerà la distanza delle nove o dieci canzoni? O è racchiuso tutto nello specchietto per le allodole? Clavdio regge, e regge bene. Anzi, le impressioni superficiali (seguirà le mode, copierà questo o quello) sono spazzate via da canzoni ben scritte, divertenti, piuttosto “forti” come impianto e con tante soluzioni sonore diverse.