Un annuncio una settimana fa, niente singoli preparatori, qualche foto in cui mostra che ha imparato a levitare: Cosmo torna in scena con il nuovo album, La terza estate dell’amore. Che poi è anche il quarto album da solista del producer/cantautore di Ivrea, il primo dopo il clamoroso Cosmotronic che ne ha fatto il punto di riferimento di quella parte della scena che cerca di far combaciare techno e indie.
Ed è un Cosmo terribilmente “politico” quello che lascia cadere il nuovo album, fitto di messaggi molto diretti, pur filtrati attraverso la techno e l’elettronica, che però hanno preso una direzione molto precisa. Le esplorazioni soltanto sonore di Cosmotronic sembrano alle spalle, in vista di un obiettivo più chiaro e tangibile.
“La terza estate dell’amore è un’invocazione, più che una realtà. È una possibilità, ma anche una necessità. Un qualcosa che deve accadere e che prima o poi succederà. La prima Summer of Love era legata al movimento hippy di fine anni Sessanta. La seconda al nascente movimento rave di fine anni Ottanta. Oggi la necessità di socialità e amore collettivo si fa sempre più forte.
La pandemia e i provvedimenti per contrastarla hanno fatto a pezzi quelli che erano gli ultimi rimasugli di vita sociale, riducendola ai suoi minimi storici. Ormai è chiaro: stiamo camminando sulle rovine di un sistema di valori che ha fallito e che deve essere spazzato via: quello dell’individualismo, della competizione, della crescita illimitata e del conflitto.
Ingiustizie, disuguaglianze, repressione e disastro ecologico sono i frutti di quel sistema.
La terza estate dell’amore è il manifesto di qualcosa che ancora non ha un nome. Un corpo pulsante e desiderante che spruzza il suo sudore sull’etica del lavoro. Un corpo erotico sbattuto in faccia al gelo di morte del capitalismo e della burocrazia, un ballo sulla carcassa di una società incapace di godere e di organizzarsi per essere felice.
Una società che preferisce riempirsi di regole, leggi e divieti con lo scopo di individuare sempre un responsabile penale e parallelamente “mettersi in sicurezza”. Una società che mette il profitto davanti al coraggio e alla libertà e che ci vuole sempre più inoffensivi.
Andrà tutto bene, purché non arrechi disturbo alcuno. La nuova dittatura passa attraverso questa ragionevolezza, e sta erodendo ogni piccolo spazio di autonomia. La terza estate dell’amore è una pernacchia in faccia a chi nega l’essenzialità della festa e dello spirito di comunità. Non ce ne facciamo niente delle città cadavere, luoghi di morte dell’anima e del corpo. Le vogliamo cambiare. Vada a farsi fottere il pil, si fotta la Borsa.
Questo messaggio è dedicato a chiunque si sia visto rubare tutto il tempo migliore della propria vita, a chi crede nell’aggregazione e nello spirito di comunità, a chiunque voglia prendere questa grande macchina e sedersi accanto al pilota per farla rallentare, sostare, ripartire quando è il momento. Verso destinazioni ed esperienze altre. Verso il futuro.”
Il disco è stata anticipata da un annuncio unico nel suo genere, che ha visto la nuova musica di Cosmo irrompere in questa stagione senza arte manifestandosi a sorpresa in parchi cittadini, case abbandonate e luoghi di aggregazione culturale messi a dura prova durante la pandemia ancora in corso.
Tutto ciò tramite installazioni di impianti audio che hanno suonato il disco in location accuratamente scelte: live club piccoli e attivi sul territorio come MONK e Le Mura a Roma, vere e proprie istituzioni come Circolo Magnolia a Milano, centri sociali come l’eXSnia, lo spazio culturale occupato Tempio Del Futuro Perduto, fino ad arrivare al Forum di Assago.
Proprio al Forum, in sinergia di intenti con il movimento Bauli In Piazza – We Make Events Italia, sono stati esposti i bauli simbolo della categoria dei tecnici e di tutti i lavoratori dello spettacolo e degli eventi. Un segnale preciso e inequivocabile: la musica torna a rompere il silenzio e la monotonia.
Cosmo traccia per traccia
L’apertura è affidata alla propulsiva Dum dum, costellata da cori trasfigurati in senso elettronico, poi allargata ma sempre piuttosto gutturale.
Curiosa e piuttosto barricadera Antipop, che va dietro allo slogan “è musica/no fabbrica” e mescola istinti tribali ed elettronica pesante, con vocalizzi finali.
La musica illegale inserisce suggestioni che sanno di industrial. “La musica è illegale/la musica è illegale/suonare è quasi un gesto da criminale”: questo Cosmo dallo spirito rivoluzionario convince sempre di più, traccia dopo traccia.
Si fa insinuante il cantato e il terreno musicale con Fresca, notturna e morbida, molto sussurrata, con un po’ di ambiguità latente.
Ecco poi Mango, che al contrario dell’omonimo brano del conterraneo Willie Peyote parla del mango in quanto frutto e gusto di gelato. Qui si fa festa, con qualche indizio di cannibalismo, voci infantili e la solita mescolanza di danza e rituali esoterici.
Rimbalzi e domande dentro La cattedrale, che è un tempio simbolico ma anche fisico (“Dietro la farmacia c’è la cattedrale“), con una curiosa chitarra spagnoleggiante a completare il percorso.
“Merda e poesia/non fare la spia/se no poi non ci amiamo più”: si procede a briglia sciolta con Puccy Bom, che “balla sul disastro” e che evoca le profondità della discoteca nei suoi recessi più estremi, carnali e alienati. E per certi versi ti sembra di essere lì a ballartela con Cosmo. “Godi/godi/godi/godi un po’ di più”.
Anche più selvaggia Fuori, con l’unico featuring del disco, quello con Silvia Konstance, basata principalmente sui dardeggiamenti elettronici e su immagini a metà tra club e bombardamento.
E poi d’improvviso buio, silenzio, meditazione: Gundala si fa minimale, articola poche note, anche di pianoforte, e lascia spazio alla voce di Cosmo che per lo più sussurra. Quasi ambient, finché i ritmi non crescono piano da metà canzone.
Ecco Io ballo, pezzo manifesto (con probabile citazione vocale da Discotheque degli U2), affermazione prima di tutto corporea, poi celebrata attraverso sviluppi ed esplorazioni elettroniche, uno spettacolo di luci e colori che è impossibile non vedere anche con gli occhi.
Più tranquilla l’aria di Vele al vento, invocazione al dio del mare che si allunga oltre gli otto minuti per un viaggio elettronico e mitologico, tra piccoli suoni divertiti e dinamiche potenti.
Si chiude con Noi, uscita meditativa quanto a suoni, ma con un testo che in realtà parla di rotolarsi nel fango e altro, proiettata all’esplorazione di un universo molto concreto e corporeo.
Sorprendente, dinamico, evocativo, questo nuovo disco di Cosmo è un punto importante. Spazzando via i residui (e ce ne sono) dei preconcetti sulla dance/techno/electro come musica da fattoni che vogliono soltanto svagarsi e fuggire dalla realtà, il musicista piemontese prende proprio il punto di vista opposto.
Senza citare direttamente mai pandemia, virus, lockdown e coprifuoco, ma piuttosto alludendo a un discorso molto più generale, che è quello dello stile di vita che tutto questo ha causato, Cosmo appoggia sul tavolo una proposta alternativa, costruita per allusioni ma anche attraverso prese di posizione nette.
Se la balla, il ragazzo, come ha sempre fatto, ma costruendo quello che è quasi un concept album sul presente e sul futuro possibile, che guarda alla sostanza ma che sembra molto centrato anche livello di suoni, strutture, pensieri. Un lavoro consistente e consapevole, con cui è necessario fare i conti qui e ora.
Genere musicale: dance, pop
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