Partiamo da un dato. In Italia, nel 2019 pre-Covid, secondo i dati presentati dall’INPS, il settore imprese culturali impiegava un milione di persone e produceva un valore aggiunto di quasi 60 miliardi di euro (3,4% del PIL). Il dato è citato in questo articolo ed è piuttosto significativo. E spaventoso, per certi versi.
Intanto perché è fortemente sottostimato: quanti sono i lavori direttamente collegati alla cultura che non risultano fra i contribuenti INPS? Ma rimaniamo al milione originale. Quanti hanno cambiato lavoro dal 2019 a oggi? E quanti altri rischiano di doverlo fare in tempi molto brevi?
Le notizie di questi giorni fanno di tutto per inquietare: in attesa che il 30 settembre il governo si pronunci a favore o contro una riapertura, con il green pass, controllata, ma senza distanziamento sociale e quindi con le capienze normali di locali, palazzetti e circoli che ospitano concerti, prima il Circolo Magnolia di Milano, quello del Mi Ami, per capirsi, ha annunciato che non riaprirà se non sarà consentito di lavorare a pieno regime; poi Cosmo, che aveva fatto di tutto per dialogare con le istituzioni anche in modo visibile, ha dovuto rimandare a data da destinarsi la sua “prima festa dell’amore”, che si sarebbe dovuta tenere in tre serate a Bologna a inizio ottobre.
Ci volevamo andare anche noi di TRAKS a uno dei concerti di Cosmo, a celebrare uno degli artisti più innovativi e coraggiosi del pop italiano di oggi, ma anche e soprattutto la fine di un incubo, la vita che ricomincia a ritrovare le proprie forme, la musica che è sopravvissuta al buio e riemerge dantescamente a riveder le stelle. E invece no.
E invece no
Cosmo ha avuto prima il placet del presidente della regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che però ha anche dichiarato che non era sua prerogativa decidere per eventuali deroghe, demandando il discorso a Roma. Poi ha atteso risposte dal governo centrale, che sono arrivate in senso di vaghe rassicurazioni e di una data, appunto, quella del 30 settembre, quando i vari partiti che compongono la maggioranza avrebbero dovuto confrontarsi sul tema, dopo mesi in cui hanno espresso un disinteresse totale per gli eventi culturali e musicali in particolare.
Quindi Cosmo e i suoi avrebbero dovuto aspettare il 30 settembre per sapere se gli eventi del 1°, 2 e 3 ottobre (i primi due sold out) si sarebbero tenuti. Con il rischio molto probabile che un Salvini o un Renzi a caso si presentino, armati dalle lobby che li sostengono, e facciano saltare il tavolo per motivi del tutto implausibili e legati soltanto a dare una grattatina di pancia al proprio elettorato. Qualora
esistente, tra l’altro.
Cosmo ha fatto due nomi, quelli dei ministri Speranza e Franceschini, poco coraggiosi e assenti (oddio, “coraggioso” e “Franceschini” nella stessa frase è oggettivamente troppo, neanche questo fosse un sito di satira). Ne manca, se vogliamo, un terzo, quello di Mario Draghi, presidente del consiglio, impegnato sicuramente in questioni “più serie” (si dice sempre così in questi casi, come se la cultura e la musica fossero cazzate), ma totalmente silente su una questione che riguarda un milione di persone direttamente, per questioni di lavoro, e un numero imprecisato di fruitori e di persone che comunque hanno comprato biglietti di spettacoli o che vorrebbero farlo. Almeno il suo predecessore aveva detto quella cosa che “ci fanno tanto divertire”. Ma oggettivamente come fai a far divertire uno come Draghi?
Al di là delle battute, in effetti non c’è niente da scherzare. A inizio pandemia, anche noi come parecchi altri illusi, ci eravamo armati di speranze e ci eravamo detti che sì, magari poteva essere un’occasione perfino per rivalutare un comparto, quello dell’industria culturale, che già in epoca pre-Covid era messo a zampe all’aria. Oggi le speranze sono finite e con esse anche la capacità di comprensione di alcune scelte.
Dal 30 giugno scorso, in Francia si è tornati al 75% della capienza al chiuso e al 100% all’aperto (notizia Agi). In Inghilterra dalla primavera scorsa gli eventi musicali sono stati riaperti e comunque si prosegue a fare esperimenti e a studiare la diffusione dei contagi. Gli spagnoli sono stati fra i primi a ripartire, e del resto ci sono teatri a Madrid che hanno riaperto per primi e che mantengono la capienza al 100%. E da noi?
Una stagione surreale
Nei confini patri invece abbiamo assistito a una stagione a dir poco surreale. Capienze al 50%, eventi al massimo da 1000-1500 persone, con qualche ragguardevole eccezione, mascherina, green pass e distanze. Oddio, che poi, distanze: siamo italiani, quindi c’è il concerto in cui la security ti mangia se guardi troppo intensamente il palco, e c’è quello in cui dopo cinque minuti sono tutti sotto palco come se niente fosse.
C’è stato il caso Salmo, con il suo concerto “a sorpresa” a Sassari, sotto la ruota panoramica, a radunare in modo provocatorio e un po’ selvaggio migliaia di persone. Che però probabilmente si sarebbero radunate lo stesso, a breve distanza, come succede tranquillamente in tutte le feste pubbliche, più o meno ben organizzate in tutta Italia.
Modi sbagliati, probabilmente, quelli di Salmo, ma anche la volontà di puntare la luce su un problema oggettivo. Anche se poi questo come altri eventi sono stati strumentalizzati per dire: “Ecco, vedete come sono questi che fanno musica? Se ne fregano delle regole”. E fa niente se ci sono centri cittadini in cui devi fare a spintoni per passare. Vorrai mica danneggiare il turismo, il commercio, lo struscio? Qui c’è gente che lavora.
Del resto, quando c’è da strumentalizzare, i colleghi giornalisti, soprattutto dei quotidiani generalisti o di una certa impronta politica, non si tirano mai indietro. Tipo quando si sono riscontrati quasi 5000 positivi dopo un festival con l’equivalente britannico del green pass, in Cornovaglia. L’evento aveva richiamato circa 50.000 persone, di cui 450 respinte all’ingresso perché positive.
Numeri, tutto sommato, non troppo diversi da quelli della finale degli Europei: Inghilterra-Italia a Wembley è stata vista da 67.000 persone e secondo le stime ha prodotto 3400 positivi, ma si sospetta che oltre 2300 di questi fossero già positivi all’ingresso. Quindi i controlli sono stati un tantino rivedibili.
Ma non c’è bisogno di prendersela sempre con lo sport: ci sono altri edifici che attirano centinaia, a volte migliaia di persone e che per motivi (non tanto) misteriosi non sono limitati nella capienza o lo sono molto meno. C’è chi protesta contro questo tipo di discriminazione, tipo il comico Angelo Duro che, aiutato da amici tipo Emis Killa e Rovazzi, sta tenendo una serie di monologhi in chiese, supermercati, autobus e anche un McDonald’s di Milano. Lo cacciano un po’ dappertutto, ma pare che non demorda.
Che fare adesso?
“Ho degli amici che è meglio se stai attento/se ti prendono ti abbracciano”
cosmo (“dum dum”)
Che fare? Protestare tutti? Continuare a spostare tour? Mettetevi nei panni dei Pinguini Tattici Nucleari: un tour sold out ovunque, palazzetti che li aspettano a braccia aperte e loro costretti a spostare i concerti e rimborsare i biglietti, un successo costruito per anni e finalmente arrivato a un trionfo che però non arriva mai. E come loro, decine di altri artisti e band. E insieme alle band, gente che lavora, costruisce palchi, cura le luci, aggiusta i suoni, si arrampica, gira con i caravan del cibo, noleggia attrezzature, eccetera. Gente che ha figli da crescere, esattamente come la commessa del supermercato, l’autista dell’autobus o il parroco. Ah già. Ok dai, ci siamo capiti.
Alla trasmissione di Radio Rai Un giorno da pecora, il ministro Costa ha prospettato una riapertura al 75-80% di cinema e teatri, per poi arrivare al 100% nell’arco di qualche settimana. Ma al momento sono parole, e ce ne sono state già parecchie. Sarebbe ora di vedere qualche fatto.
La tensione sta salendo, ma gli artisti e i loro fan amano usare la voce per cantare e le mani per applaudire, per fortuna. Certo poi guardi certi comizi oceanici senza mascherina e con tutti ammassati e ti accorgi che la misura è davvero colma. Giusto ieri è scoppiato il caso del comizio di Giuseppe Conte, quello stesso del “ci fanno tanto divertire”: un’adunata oceanica degna di miglior causa, nessuna precauzione e una giusta e comprensibile levata di scudi da parte della musica di casa nostra. Da Calcutta a Lodo Guenzi, dalla Rappresentante di Lista a Salmo, tutti hanno fatto notare l’incongruenza. Hanno fatto incazzare perfino uno tranquillo come Ermal Meta. Cosmo stesso ha sostanzialmente incitato alla rivolta: “prendiamoci le strade”. Poi Conte ha risposto soltanto a Fedez, evidentemente l’unico che la politica teme davvero.
Ci sono iniziative, associazioni, mobilitazioni, soltanto che le richieste in questo momento arrivano da talmente tanti settori che si fa fatica a farsi sentire. Ma non è il caso di mollare il colpo.
Abbiamo appena terminato un’estate comunque ricca di concerti, anche se dimezzati. E ci siamo trovati spaesati, in un orizzonte nuovo, fatto di gente seduta e guardinga, che sembrava dover chiedere scusa per l’entusiasmo. E siamo tutti d’accordo che non dovrebbe andare così. Abbiamo rispettato le regole, abbiamo indossato mascherine, tenuto distanze, rifiutato abbracci, tenuto a freno la voglia di ballare. Ci siamo vaccinati, naturalmente, abbiamo ottenuto ed esposto il green pass quando richiesto. Abbiamo polemizzato con i no vax, difeso e protetto i più deboli, rispettato regole. Non è che vogliamo ringraziamenti: era giusto e normale fare così.
In cambio però abbiamo bisogno anche noi di normalità. Per esempio di tg che si accorgano che non è sempre colpa della “movida” (ma che cazzo è poi la movida? Dieci vecchi che giocano a bocce, tecnicamente, non sono “movida” anche loro?), dei concerti, della gente che si diverte, ma che ha fatto la fila per essere vaccinata il primo giorno e per non infettare quelli che ha intorno. E di decisioni che tengano conto anche della musica e della cultura, prima che diventi anche questa una merce che scarseggia.