Smoke Steel and Hope è il titolo del nuovo lavoro di Dave Muldoon uscito il 6 luglio per la Prismopaco di Diego Galeri. Il secondo disco del cantautore newyorchese di nascita, irlandese d’origini, ma residente dal 2000 nel nostro Paese, arriva a nove anni dal precedente Little Boy Blue.
Questo disco vede collaborazioni con Lino Gatti alla batteria (The Winstons), Milo Scaglioni al basso, Roberto Dellera (The Winstons, Afterhours), Chiara Castello (I’m Not a Blonde) e Micol Martinez ai cori.
Dave Muldoon traccia per traccia
Con un’apertura molto old style, Muldoon si avvia per i propri sentieri polverosi, sulle note di Die For You. Il ritmo è controllato, le sonorità folk rock, il cappello ben calcato sulla fronte.
Più tranquilla New York City Life, a dispetto di un titolo che farebbe pensare a ben altra frenesia. Ma è una New York notturna e quasi jazzata quella che ci accoglie, animata soprattutto da un drumming nervoso.
Cori quasi gospel e atmosfera suggestiva quella che caratterizza Nothing at All, con placidità e hammond. Destiny’s Child, che non è un inno alla prima band di Beyoncé, ha invece qualcosa di Willy DeVille, soprattutto nel cantato.
Mountain si scala grazie alla chitarra classica e alla voce, con modalità prima molto intime e poi sempre più allargate e abbraccianti. Horizon rockeggia, con modalità che possono far pensare a un Tom Petty, distribuendo la propria elettricità sia in verticale sia in orizzontale.
E se Dancing orientaleggia un po’ facendosi insinuante, anche grazie al lavoro della chitarra, Long Time ha modi molto più spicci e rumoreggia senza troppi compromessi.
On the Radio percorre sentieri suggestivi, con qualche accenno soul/gospel, cori e tutto (e il fantasma di Springsteen che aleggia sullo sfondo). Si chiude su note movimentate, quelle di What You Need, molto catchy e tutto sommato anche la più attuale come sonorità.
Così come per l’apertura, è tutto il disco di Dave Muldoon a essere old style, ma anche molto ben fatto e ben suonato.