Esce il 10 maggio Animali notturni, il nuovo disco dei Fast Animals and Slow Kids, due anni dopo Forse non è la felicità. Ma del resto il quartetto perugino è afflitto da una curiosa malattia: appena finito un disco si mette a lavorare su quello successivo, e questo giustifica i ritmi produttivi altissimi.
Un disco di cambiamento, però: come molti altri gruppi e artisti dell’indie contemporaneo, i nostri sono passati a una major (Warner). Ma non è soltanto un cambio “commerciale”: c’è la scelta di una produzione, quella di Matteo Cantaluppi, che si porta dietro l’etichetta “quello che ha prodotto Thegiornalisti” (e Canova, Ex Otago, Dimartino e altri settantamila).
Ne risulta un suono più pulito del solito, ma la carica non è diminuita e i testi non sono né pop né spenti. Anzi l’irruenza della band risulta intatta e le frasi che Aimone e compagni lanceranno dai palchi probabilmente risulteranno in onde incontenibili nei concerti dell’estate. Se sarà il disco della svolta di popolarità lo dirà il tempo, per il momento accontentiamoci di ascoltare le canzoni con attenzione.
Fast Animals and Slow Kids traccia per traccia
“Se la vita è un lampo io non l’ho visto”: i Fast Animals confessano di non essere poi sempre così veloci (o sarà la parte “Slow Kids” questa) in una title track come Animali notturni, che lascia già intuire quello che è e sarà il “nuovo suono”, più pulito. Una canzone che parla di rimpianti e di persone sparite. E di solitudine, naturalmente.
E infatti anche Cinema parte da considerazioni di assenza, con un drumming molto martellato ma anche una chitarra che sottolinea i passaggi in modo malinconico e un po’ introverso.
Un giro di batteria martellante è anche quello che contraddistingue Urlo: non c’è Munch alla base di questo pezzo, ma ascolti abbastanza ricollegabili agli anni Ottanta per il pezzo in cui probabilmente la mano di Cantaluppi è più evidente. “Ti chiedo scusa per gli errori che ho davanti/io non vorrei ma dovrò farli amore mio”: l’ineluttabilità del futuro va di pari passo con i sensi di colpa che nessun urlo può emendare.
Non potrei mai è la prima e l’ultima canzone del disco, in un certo senso: la band racconta infatti come il pezzo sia stato il primo a cui hanno messo mano per questo disco, ma non convinti lo hanno messo da parte per mesi. Poi a fine lavorazioni l’hanno ripescato, cambiando il ritornello e rielaborandolo: ne è uscita una testata dritta al petto, con qualche citazione nascosta (il glockenspiel che regala qualche scintillio per esempio si ricollega al sound springsteeniano: se non l’avessero dichiarato a chiare lettere, va detto, l’avrebbero capito soltanto loro).
Si parte piano, invece, e dalla chitarra stavolta, per Dritto al cuore. “Che sia lunga, storta e faccia male”: parlano di frecce e di dolore, i FASK, capaci di pronunciare la parola “cuore” senza ripensamenti e senza spaventarsi, corroborando il tutto con dosi di rock sovrabbondanti, in uno dei pezzi più trascinanti del disco. “Adesso esplode il locale“, è il preannuncio, probabilmente foriero di pogo impazzito nei concerti.
Si corre, e ne hanno ben donde, all’interno di Canzoni tristi, altro pezzo particolarmente significativo del disco anche grazie a una dichiarazione di intenti ma soprattutto di “nuova libertà” messa lì quasi non parendo: “Sai/per tanti anni/pensavo fosse alternativo fare il punk/ma oggi/ho trent’anni/vorrei soltanto dire quello che mi va“.
“Canto per te che non ascolti”: quante piccole contorsioni interne si porta dietro questo album. Anche in Un’altra ancora si avverte la forza di un’elaborazione intima e profonda, anche qui con echi di Springsteen (eh bravo, ora che te l’hanno detto loro, capaci tutti) e con il “diavolo” che torna in un testo dei FASK, e non è neanche l’ultima volta.
E infatti ecco Demoni: il testo gira intorno alle tre domande da non fare a nessuno, “perfette per distruggere un uomo” che portano con sé una dichiarazione di amore eterno, più incazzata che adorante, a dire la verità.
Si recita o no? Quanto pesa il giudizio degli altri? C’è il rischio di “vendersi”? No, se “mi urlo in faccia una canzone”: Radio Radio, secondo singolo con citazione battistiana (ma veramente nessuno ha mai pensato al gioco “Mare nero/Male nero”? Pazzesco). “Metti questa in radio, se hai coraggio, se hai un cuore”: qui il cuore serve per passare canzoni un po’ più incazzate e un po’ più infuocate del solito.
C’è un agguato alla base di Chiediti di te, con un giro di basso che guizza veloce. La canzone parla di schiaffi presi ma proclama anche il proprio coraggio, con Springsteen, convitato di pietra, stavolta citato apertamente dal testo.
Chiusura abbastanza moderata, almeno per le abitudini della band, con Novecento, che parla di futuro regalando un po’ di speranza dopo fasi particolarmente magmatiche.
E’ una notte strana quella in cui si aggirano i Fast Animals and Slow Kids, alla ricerca di cuori, anime ed esplosioni improvvise e rumorose. Arrivati a un evidente bivio nella loro carriera (continuare a fare gli indie rocker duri e puri e anche un po’ grezzi oppure provare a fare un passo più in là), scelgono la strada migliore, anche se scontenterà i fan del “non sono più come una volta”.
Ma se ci sono prezzi da pagare per tutto, questo va pagato per intero, con consapevolezza ma anche con soddisfazione: più che di svolta si può parlare di livello superato, e anche di uscita verso la luce, anche se poi la luce è quella delle insegne del drugstore raffigurate in copertina.
Il quartetto si rivolge al suo pubblico antico ma è alla ricerca di nuove orecchie da riempire di suoni. E probabilmente più di altre band è adatta a far da ponte verso chi, sentendo la parola “indie”, rabbrividisce e tira fuori i dischi dei Led Zeppelin. C’è un tempo per tutti, e il tempo dei FASK corre veloce e sembra appena iniziato.