I Miei Resti: intervista e recensione
Black humour a palate (a volte anche senza humour), nichilismo e cinismo vestiti di suoni tra la dark wave e l’industrial: I Miei Resti pubblica il disco I Vespri della Noia. L’abbiamo intervistato.
Partiamo dal raccontare chi è I Miei Resti
I Miei Resti nasce come un progetto one man band è sostanzialmente una celebrazione della misantropia e della non fiducia nell’essere umano. Soprattutto è una scusa, un mezzo per parlare di me una sorta di autoanalisi sotto forma di flusso di coscienza.
Titolo e copertina dell’album sembrano far riferimento a una prigionia che può ricordare il discorso quarantena, cui però non fai cenni espliciti. Eri già quarantenato prima della pandemia?
La prigionia che temo più di tutte è sicuramente quella della noia, tutti i pezzi sono stati scritti ben prima di questo periodo difficile ma sinceramente un po’ di clausura e contenimento dalla stupidità a me fa sempre piacere. Sì, diciamo che periodicamente mi sottopongo a periodi di quarantena auto imposta giusto per liberarmi da tossine e persone sgradite.
Il tuo disco trabocca di paradossi e di umorismo nero. Da quale materia parti per concepire le tue canzoni?
Da cio’ che mi capita in genere. Tempo fa una mia amica mi ha definito “personaggio da romanzo”, io le ho risposto che sono una persona a cui capitano situazioni romanzesche.
A livello musicale si riconoscono alcune influenze (dark wave, industrial) e tu citi esplicitamente Battiato, Lou Reed e Depeche Mode (e se vogliamo Pink Floyd) nel disco. Altre cose che ti piacciono?
Mi fa piacere leggere nomi a cui non avevo assolutamente pensato come per esempio Lou Reed e i Pink Floyd, quindi ben contento che tra le pieghe del disco fuoriescano richiami ad artisti differenti tra loro. Io nutro un grande amore per David Bowie, il prog anni ’70, gli Stooges, Nine Inch Nails, comunque mi piace tutto ciò che suona come insolito.
Ho paura a chiedertelo viste alcune canzoni del disco ma: che futuro musicale ti vedi davanti?
Sinceramente nessuno, passato e futuro sono solo grossi pesi per me, forse stai chiedendo alla persona sbagliata. Me la cavo meglio col presente. Sicuramente saremo sommersi da immondizie musicali, questo però l’ha già detto qualcun altro.
I Miei Resti traccia per traccia
Si parte da Genova, che ha un passo moderato, sonorità tra l’industrial e la dark wave è un testo che cita Battiato e poi rimane su quella linea. “Stareste meglio morti” è la prima passeggiata nello humour nero. Decisamente non l’ultima.
Una serie di luoghi comuni sul tempo e sul calendario, con riferimenti social, emergono da Gennaio, che lascia una certa libertà a suoni e rumori, sempre con un certo atteggiamento sperimentale.
Una lista è più marcatamente rock, con qualche propaggine elettronica, con un testo che parla di controllo, religione e medicina.
Si esplorano ipotesi fantascientifiche con Tremori alieni, che ha un lato melodico un po’ più sviluppato, ma non per questo evita l’inquietudine.
Quando sarò morto fa un passo oltre nel surreale, immaginando esperienze post mortem, con suoni che si estremizzano, per accompagnare una serie di previsioni che sembrano però piuttosto “vitali”.
Problemi di carattere burocratico aprono Storie lacrimevoli, che poi tracima su considerazioni di ambito social, ma anche discorsi di (buon?) vicinato.
Breve ma ancora più curiosa, ecco Parto plurigemellare, intermezzo che introduce a Rosie Postmortem, sorta di cortometraggio horror che chiude il disco.
Decisamente originale e fuori dal contesto, tra l’altro turbobuonista, che circonda la pandemia e le uscite di questo periodo, il dark (e wild) side de I miei resti colpisce per coerenza e capacità di mantenere la propria cattiveria dall’inizio alla fine, senza flessioni. Come se fosse tutto vero, insomma.