Intervista: Herself and The Laissez Fairs, la stima e l’umiltà

Un incontro virtuoso in programma fra pochi giorni: uscirà infatti, per DeAmbula Records, Gleaming, ep che racconta della collaborazione tra Herself (Gioele Valenti) e i Laissez Fairs di John Fallon (qui la recensione). Ci siamo fatti raccontare da Gioele Valenti come è avvenuto l’incontro e qualche altro particolare dell’ep.

Come nasce l’incontro con John Fallon e i suoi Laissez Fairs?

Sono cresciuto con i dischi di The Steppes, leggendaria band irlandese attiva negli ’80/’90, e in particolare ho sempre amato quel loro capolavoro che è Enquire Within. Posso dire che sono tra gli artisti, assieme a The Waterboys, Swans e The Telescopes, che più hanno contato nella mia formazione.

Siamo entrati in contatto tramite comuni amici, e da fan ho loro testimoniato la mia stima. Loro hanno ascoltato Herself e non hanno lesinato apprezzamenti, con forte carattere non disgiunto da una certa dose di preziosa umiltà, ti assicuro, molto rara, nell’ambiente; in qualche modo è scoccata la scintilla.

John Fallon ha avuto belle parole  – bontà sua – per la mia scrittura, e il passo successivo è stato ovviamente prevedibile, visto che mi ero già innamorato dei suoi nuovi The Laissez Fairs, condivisi con Joe Lawless. Al di là della mia gioia per aver lavorato con un mio idolo di sempre, quello che mi interessa è il talento messo in campo per Gleaming. Cioè, in genere, a me non interessano i “nomi”, soltanto il talento racchiuso nelle persone.

Le sonorità del disco, oltre che molto vintage, sembrano molto cinematografiche. Avevate in mente qualche immagine, qualche film, qualche fonte d’ispirazione visiva particolare per il disco?

Sono contento tu lo abbia rilevato. In realtà tutto Gleaming è concepito come la colonna sonora di un film immaginario. Personalmente sono innamorato della filmografia targata ’70, e film come Il Campione, Un uomo da marciapiede, Love Story e le loro rispettive colonne sonore, hanno costituito un immaginario forte cui attingere. Naturalmente, avendo in questa fase di Herself un’importante parte degli Steppes dentro, non ho resistito nel “provocarli” in quel senso… John Fallon è un musicista dalle qualità liriche senza tempo, e Joe Lawless un ottimo producer.

Quali sono state le difficoltà maggiori che avete incontrato nel realizzare il disco, se ci sono state?
Nessuna difficoltà, solo stimolanti raffronti e punti di vista spesso convergenti. Si è cercato di mantenere un equilibrio tra le mie strutture di classica matrice folk, mantenendo inalterata la diegetica del testo, e la scossa elettrica di cui sono portatori i Laissez Fairs…
Herself e l’eterno ritorno
Come nasce “Torches”, che avete diviso in due parti?
Questa è stata un’idea dei The Laissez Fairs… in prima istanza la canzone era un unicuum; poi Joe ha avuto questa bella intuizione, e l’ha troncata di netto, “splittandola” in due differenti parti e individualizzandone una diversa percezione. Come un eterno ritorno. Alla mia iniziale sorpresa è conseguita la totale adesione a questa scelta estrema, l’ho trovata naif e coraggiosa, dunque irresistibile.

Puoi raccontare la strumentazione principale che hai utilizzato per suonare in questo disco?
 
Io ho usato una Martin (chitarra acustica), un SM57, due vecchie Casiotone, un armonium, una Merlin (liuto), un paio di pentole come percussioni, e un paio di distorsori vocali… John Fallon e Joe Lawless hanno buttato dentro una serie di succulenti strumenti vintage, chitarre Rickenbacker, Wurlitzer, organi, mellotron e chitarre 12 corde.
Chi è l’artista indipendente italiano che stimi di più in questo momento e perché?
 
Non conosco granché al momento, devo dirti la verità, anche perché ascolto soprattutto musica americana e inglese. Ma tra gli artisti – se non italiani, almeno “italianizzati” – Amaury Cambuzat degli Ulan Bator mi ha sempre conquistato per integrità, coerenza e capacità di riformarsi continuamente, pur restando fedele a se stesso. Mi piacciono poi gli Uoki Tochi.

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