Altra Mecca nascosta della musica indipendente italiana, Savona ha dato i natali a svariati gruppi attivi oggi, fra i quali i Black Elephant: con un range di suoni che copre tutto ciò che sta tra il death metal e il southern metal e generi consimili, la band di Alex Barbanera si ripropone con Bifolchi inside, che si può scaricare cliccando su questo link.
Con alle spalle un ep pubblicato due anni fa (Spaghetti Cowboys Ep) il quartetto, che vanta nomi un tantino fantasiosi tipo Dany Kastigo, Max Satana, Il Colonnello e il medesimo Alex Barbanera, si cimenta ora sulla distanza lunga, mettendo registrazione e mix nelle mani di Mattia Cominotto, ben noto per i lavori su dischi di Meganoidi, L’inverno della civetta e, di recente, Od Fulmine.
L’apertura è affidata a Voglio fare il Velino, che come preannunciato dal titolo se la prende con qualche malcostume social-televisivo, e non usa esattamente il fioretto, nemmeno dal punto di vista delle sonorità.
Molto spessi i suoni, ma anche molto hard rock i ritmi, di Crew of Death, che prosegue e fa capire come la tempesta sia soltanto agli inizi. Dr. Fuck accelera, anche se in modo non esagerato, continua a picchiare in modo vistoso e brutale, ma lascia anche molto spazio a un assolo di chitarra vecchio stile.
Segue Mothell, dai suoni piuttosto plastici anche se potenti: anche qui la chitarra è in evidenza, anche con una serie di svisate quasi alla Tom Morello, ma si aggiudica la prima fila in modo graduale, senza essere troppo invadente. Ecco poi Cowboys, ancora a ritmo medio, sorretta da un ottimo riff, con una solidissima sezione ritmica a fungere da architrave.
La sorpresa maggiore del disco è probabilmente la trasformazione di Male di Miele, il classico degli Afterhours, in una perfetta canzone metal: non che fosse un pezzo “morbido” in origine, ma sentirla rivestita di questo tipo di armatura fa comunque un certo effetto.
Pornoland ribatte sugli stessi tasti, intessendo conversazioni sul sesso digitale. Come serpenti chiude il discorso con l’abituale irruenza, ma anche attestandosi su dialoghi chitarristici di un certo interesse.
I capisaldi del metal, dall’uso del turpiloquio alla schitarrata facile, dalle tematiche horror agli effetti ci sono tutti, ma il risultato complessivo è un disco dalle giuste proporzioni, con i pezzi giusti nei posti giusti.
Il metal non è genere che faccia sconti, e non sembra che i Black Elephant abbiano intenzioni diverse, in questo senso, dalle altre band del genere. Anzi si calano perfettamente in una tradizione ben nota e la interpretano con maestria.