Monte Meru è il nuovo disco dei Latente, anello di congiunzione tra passato e presente, dopo l’ep Un’altra faccia (2010), il disco d’esordio Basta che restiamo vivi noi (2014) e i numerosi live che ne sono seguiti. Monte Meru risente delle esperienze che i quattro musicisti hanno vissuto in questi anni e ingloba ascolti e influenze che li hanno portati alla loro attuale dimensione.
Latente traccia per traccia
Il primo morso all’album arriva con La mia stanza buia, carica di rabbia e di sonorità rock molto ruvide. Stop and go intensivi quelli su cui apre Nervi, che poi prosegue con evoluzioni elettriche molto rumorose.
Fumare parte piano e poi amplia la potenza di fuoco. Le linee melodiche del brano prendono il sopravvento, in questo caso, rispetto alle tendenze aggressive. Alchimie prosegue la corsa, con qualche substrato malinconico e sonorità da rock italiano classico, lasciando spazio a una coda quasi del tutto strumentale nel finale.
Si torna al melodico e all’oscuro con Brace, in un pezzo comunque ricco di capacità esplosive. Lucido decide per i toni minori e questa volta si mantiene fedele alle premesse, abbassando la voce, per una volta. Ti vengo a trovare torna a spingere sull’acceleratore, con la sezione ritmica in particolare evidenza, per affrontare angosce e discorsi molto personali.
Accontentarsi è diventato facile prosegue con il ritmo alto e con idee piuttosto rancorose. Tre assomiglia a un pezzo di transizione, con velocità comunque alte. Si chiude con Everest, una scalata cadenzata e molto potente, con una chiusa particolare e quasi esoterica.
Disco ricco di energia e convinzione, il nuovo dei Latente. La tematica dell’inadeguatezza, del “sentirsi sempre sbagliati” è sviluppata con un giusto connubio tra aggressività quasi adolescenziale e brani più maturi, il tutto condito da qualche variabile impazzita che qui e là movimenta il percorso.
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