
Benché alcuni meme lo sostengano, e si sa che ormai il meme fa testo giuridico, Donald Trump non è stato bloccato sui social perché non ama Nino D’Angelo. È stato messo all’angolo da Twitter, Facebook e altri media di questo tipo per colpa dei suoi messaggi, interpretati come sovversivi e pericolosi, soprattutto alla luce dell’assalto al Congresso americano del 6 gennaio e della proclamazione a nuovo presidente degli Stati Uniti di Joe Biden, in arrivo su tutti gli schermi il prossimo 20 gennaio.
Questa mossa ha suscitato un dibattito in tutto il mondo e ha offerto il destro per quello che ormai è lo sport più diffuso: prendere un tema qualsiasi e dividersi in due schieramenti opposti, pro e contro, a prescindere. Che di base non è un bel modo di ragionare, è per lo più una questione di tifo.
La cosa curiosa, però, in questo caso, è che ci siano “tifosi” anti-Trump che hanno preso le parti del miliardario con la pettinatura spiritosa che per quattro anni è stato l’uomo con in tasca i codici delle testate nucleari. Si è gridato alla censura e alla privazione della libertà di parola. Tra l’altro è successo brevemente anche all’account di un “giornale”, diciamo così, delle nostre parti. Che per fortuna poi ha ripreso ad ammannire titoli razzisti e posizioni pre-Concilio di Trento in quasi tutti i campi dello scibile umano.
Ma è giusto dire che si sia trattato di censura? Dipende da come si considerano i social. Cominciamo dai numeri: Facebook è utilizzato da 2,7 miliardi di persone nel mondo (dati del 2020, fonte: https://cultadv.com/utenti-social-network-2020/); YouTube e Whatsapp fanno 2 miliardi a testa, Instagram poco oltre 1 miliardo, superato dal cinese WeChat (1,2 miliardi). TikTok è in crescita ma si ferma ancora sotto i 700 milioni, Twitter è portatore di una nicchia importante ma tutto sommato marginale rispetto agli altri: 353 milioni. Forse per questo è stato il primo a zittire The Donald, forte di una libertà di movimento consentita da una minore universalità.
Sì, perché il social gestito da Zuckerberg, seppure in calo per certi indicatori, ha indubbiamente un pubblico potenziale sterminato e senza precedenti. Quali altri mezzi di comunicazione hanno mai avuto la possibilità di farsi ricevere da quasi 3 miliardi di persone in contemporanea? Sono numeri da Olimpiadi o da Mondiali di calcio, però tutti i giorni. Lo sbarco dell’uomo sulla Luna, per dire, fu visto da “soli” 652 milioni di persone nel mondo. Anche perché i sovietici all’epoca non ne erano proprio entusiasti e non permisero la trasmissione nei paesi del Patto di Varsavia.
Comunque la potenzialità di raggiungere il pubblico sui social è vastissima, questo è chiaro, soprattutto per chi li sa usare e per chi gode di tutele speciali, come gli uomini politici, giusto per fare un esempio.
Per questo, qualcuno li confonde con un servizio pubblico. Cosa che, però non sono. Si tratta di prodotti di multinazionali, per niente imparziali, ricchi (in tutti i sensi) di inserzioni pubblicitarie, che incidentalmente offrono spazio per le opinioni dei propri utenti, ma che non hanno obblighi, se non verso i propri azionisti. Lo si capisce meglio se si osservano i media di origine cinese: quanto spazio per la libera opinione ci sarà in un medium controllato da Pechino?
Ma lo si capisce meglio anche se si considera Facebook, per esempio, una specie di enorme giornale con 2,7 miliardi di collaboratori. Che incidentalmente, sono anche i potenziali lettori del giornale. Ora: su un giornale c’è spazio per le opinioni di tutti? C’è obbligo di contraddittorio? C’è bisogno che tutti i pensieri siano rappresentati? Non proprio.
È altamente improbabile che io trovi le opinioni dei simpaticoni di Casapound su Il manifesto. Ed è difficile leggere corsivi di un esponente di estrema sinistra su Il giornale. Magari un’intervistina sì, ma forse accompagnata da opinioni critiche. Perché il pubblico di riferimento è di opinione difforme e sarebbe stupido cercare di offrire “tutte” le opinioni a qualcuno che compra il tuo quotidiano per leggere articoli orientati soprattutto in una certa direzione.
Ma non vale solo per la politica: se il Buscadero scrive un articolo contro la trap, o se Rockol dice che l’indie è passato di moda, non sono obbligati a offrire spazio anche a qualcuno che dice il contrario. Quella è la posizione del giornale: se ti piace lo compri, ti abboni, metti like o fai anche soltanto sì con la testa. Se non ti piace, ti giri dall’altra parte e leggi qualcos’altro. Tipo: su TRAKS c’è un sacco di spazio sia per l’indie sia per la trap. Dico per dire.
Non solo: se un giornalista scrive qualcosa di sbagliato, offensivo o diffamatorio su un giornale, la redazione e soprattutto il direttore sono obbligati a intervenire per correggere: si dice “direttore responsabile” appunto per questo, perché è sua la responsabilità del controllo. In caso di diffamazione non pagherà soltanto chi ha scritto l’articolo, ma anche il capo supremo. È uno dei pochi campi in cui “responsabile” significa ancora “che si assume la responsabilità”.
Quindi, facciamo finta che Zuckerberg sia il direttore responsabile di Facebook e qualcuno dei suoi utenti pubblichi contenuti che sostengano che il Covid è nato in un laboratorio di Wuhan ed è risultato di un complotto mondiale che vede coinvolto Bill Gates e che è teso a impiantare dei chip controllabili con il 5G in tutta la popolazione, ottenendo come risultato che una parte significativa degli utenti di Facebook finisca per non vaccinarsi e per danneggiare la salute mondiale.
Ti sei immaginato questo scenario totalmente implausibile e da fantascienza? Ecco, non riterresti in questo caso che Zuckerberg sarebbe quantomeno corresponsabile di questi personaggi, a cui ha dato voce e libero accesso alle sue piattaforme?
Con Trump è successo esattamente lo stesso. Anzi, viste le sue posizioni sul Covid le due direttrici, no-vax e pro-assalto al Congresso, si sono intrecciate. E dopo aver tollerato anni di sproloqui, culminati nella vagonata di falsità e di incitamenti all’odio e alla rivolta che hanno attorniato il voto per la Casa Bianca di novembre, perfino Zuckerberg, che di solito fa di tutto per non inimicarsi i potenti del mondo, ha detto stop.
Facebook censura un sacco di gente, non solo Trump. A volte anche a caso: gli algoritmi che controllano razzismo, sessismo e altri mali dei nostri tempi scattano anche in maniera automatica, perciò a volte si rischia la censura anche per commenti o post del tutto innocenti. Poi presenti reclamo e se hai qualche ragione, ti sbloccano. Del resto provate voi a controllare tutti i giorni quello che scrivono 2,7 miliardi di persone: non è proprio una passeggiata di salute. Ed ecco perché ogni tanto qualche genio riesce a formare un gruppo neonazista su FB e a farla franca finché qualcuno non lo segnala.
Il problema con i politici però è un po’ diverso: non si tratta di gente con un numero di followers pari al QI, e comunque sotto i 20, come di solito succede con i nazi. Sono persone che parlano a platee molto vaste, con grande esposizione mediatica e che sui social godono di un grado di tolleranza per le opinioni che esprimono molto maggiore di quello delle persone comuni. Altrimenti gente come Salvini o Borghezio sarebbe stata bannata fin dall’infanzia.
Però, diceva un tizio, da grandi poteri derivano grandi responsabilità: non puoi sederti su un trono e dire quello che ti pare, quando ti pare, senza preoccuparti delle conseguenze. Anzi, a dire il vero questa è una cosa che non dovresti fare nemmeno se i social fossero un servizio pubblico: libertà di pensiero e di opinione significa libertà di basare sulla realtà tutti i ragionamenti che hanno una logica, anche se portano a conclusioni impreviste, impopolari, perfino sovversive. Non significa distorcere la verità e servire a miliardi di persone fatti completamente inventati con l’unico scopo di perpetuare i propri privilegi. Questo è l’esatto contrario della democrazia, ed è appunto quello che fanno i tiranni, da sempre e per sempre.
P.S.: Qualcuno ha anche invocato, come succede sempre in questi casi, il “comitato di saggi”, un ente terzo che dovrebbe decidere quello che si può o non si può scrivere su Facebook. Ora però: chi sceglie i saggi? Chi controlla i controllori? Li si elegge? Li si nomina per anzianità? Siamo veramente pronti a riempire i social di “Buongiornissimi kaffè”, di canzoni dei Ricchi e Poveri e di immagini di cantieri? Io no.
