Si chiama Yersinia il nuovo disco dei Cum Moenia, band palermitana di origine ma dalla vocazione spiccatamente internazionale e dalle sonorità piuttosto vicine alla new wave (qui la recensione). Ecco la nostra intervista con la band.

Potete raccontare la storia della band e le origini del vostro nome?

I Cum Moenia nascono a Palermo nel 2011, esattamente tra marzo e aprile, cominciando a jammare tanto. Non ruotavamo intorno a un genere ben definito,  quanto alla coesione delle varie scelte stilistiche che ognuno di noi fino ad allora aveva sposato.

Il nome della band è nato dall’esigenza di sublimare l’aspetto fondamentale di ogni cosa, ovvero la comunicazione, Cum Moenia
infatti è l’origine latina del termine, all’interno della nostra pagina c’è un’ampia descrizione al riguardo.

Come avete approcciato l’esordio su “distanza lunga”? Che tipo di
periodo fotografa “Yersinia” e qual è il significato del titolo?

In realtà noi, seppur in modo diverso, abbiamo pubblicato nel 2012 un miniEp Dal numero alla forma per NostressNetlabel ottenendo dei riscontri  fondamentali per quello che poi sarebbe stata la composizione dell’album.

Yersinia è il nome scientifico con il quale si identifica un batterio mortale, come per esempio lo Yersinia Pestis, batterio della peste.

Chiaramente il nostro  album non vuole parlare di un batterio sul piano scientifico, Yersinia per noi  è un modo per indentificare un certo atteggiamento che l’umanità assume dai secoli dei secoli.

All’interno dell’album sono stati inseriti degli elementi
concreti in alcuni pezzi, elementi che per noi sono spunti di riflessione su  come oggi riusciamo a concepire e talvolta a classificare la morte.

Mi sembra che il disco si muova su versanti sonori anche molto
lontani fra loro. Quali sono le vostre fonti di ispirazioni e qual è il
modus operandi tipico delle vostre composizioni?

Abbiamo sempre avuto fonti di ispirazioni diverse tra di noi, la jam
partendo da qualsiasi cosa è sempre stata fondamentale per le nostre composizioni, noi, come del resto tantissimi altri musicisti, cerchiamo di  catturare il momento migliore all’interno dell’estemporaneità, spesso registrando quello che suoniamo, e ascoltandoci molto.

Che cosa vi ha spinto a realizzare una vostra versione del brano di
“28 days later” di John Murphy?

La cover è un pezzo che facevamo già da molto tempo prima che nascesse  l’album, durante la realizzazione di quest’ultimo abbiamo pensato che ci fosse una certa attinenza.

Infatti l’idea era quella di proporre una cover che fosse coerente col progetto e quindi mantenere quella concettualità scaturita dal  sound abbinato a immagini e ” situazioni”.

Ogni genere musicale ha sempre richiamato luoghi e situazioni, certo, ma un certo tipi di musica (vedi l’elettronica) ci hanno insegnato che possiamo scrivere vere e proprie storie all’interno di un brano e per mantenere fede a questo concetto è stata scelta 28 days later.

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