Dopo quasi sei anni di attesa i Minor Swing Quintet escono con il loro secondo album, Minor Mali. Come il primo disco Mapo Salato (Irma Records, 2012), anche Minor Mali contiene otto tracce. Minor Mali vuole essere un motto: mai normali. Viversi le differenze come ricchezza, non come difficoltà.

Ognuno dei cinque membri della band proviene da un background musicale molto diverso e in questo disco vengono rispettati tutti, per creare un sound ibrido e unico, mai scontato, mai prevedibile, mai normale. Ogni brano del disco è stato pensato collocandolo in parti del mondo diverse tra: Africa, Sud America, Oceania e addirittura nello spazio.

“Questo disco è la nostra dichiarazione d’amore alla musica, di quanto crediamo nei rapporti umani, nella stima reciproca, e di quanto sia meraviglioso suonare insieme. lo dedichiamo a tutte le persone che vogliono continuare a seguirci nel nostro viaggio: da Bologna, al Mali, agli Stati Uniti, al Nord Europa e in qualsiasi altro posto vorremo andare. chiudete gli occhi, aprite il vostro cuore e godetevi il ​​nostro disco. godetevi Minor Mali”.

Minor Swing Quintet traccia per traccia

Si parte da una giocosa Tipitappi, che però è anche un ingresso molto veemente e a suo modo potente (non a caso la band dice di riferirsi qui ai Led Zeppelin, anche se i violini addolciscono un po’ l’elettricità del brano).

Molto più serio il clima di Le Bandit de Bambeto: la band spiega che “nel settembre del 2009, a Conakry (Guinea), l’esercito nazionale, agli ordini di Moussa Dadis Camara, spara sui manifestanti dell’opposizione, causando 160 morti. il nostro chitarrista Pollo era in quei giorni proprio nella capitale guineana, nel quartiere di Bambeto”; l’impianto sonoro che ne emerge è mescolato tra jazz, etno e ritmi latini, ma con un’ombra ben presente su tutto.

La title track Minor Mali si aggira in territori più delicati e sfumati, immergendo le mani in ispirazioni progressive ma optando per una libertà di movimento pressoché totale. Vittorio, dedicata all’attivista Arrigoni morto a Gaza nel 2011, accende visioni più liriche e si accoda soprattutto alle linee degli strumenti a corda.

L’atmosfera torna distesa su una sciolta e fluida BlaskShark, che organizza il proprio percorso in modo apparentemente disorganizzato e in realtà seguendo istintualità del tutto jazz. C’è la presenza della tromba di Fabrizio Bosso a nobilitare ulteriormente il brano, che in realtà è un omaggio al mondo dell’hip hop americano.

Si prosegue seguendo la scia de La cometa di Halley, brano filante e affilato, con un’unica concessione, a un assolo di “body percussion”, circa a metà brano.

Split si suddivide in una parte tranquilla introduttiva e in un’accelerazione palesemente rock, con qualche vena di nostalgia 70s quando entra il synth. Si chiude con una furibonda SambaSabar, mélange tra Sudamerica e Africa, con la partecipazione del percussionista Mbar Ndiaye.

Lavoro corposo e sostanzioso per il Minor Swing Quintet, in grado di cambiare continente senza perdere un centimetro di integrità. La capacità di fornire scenari diversi si accompagna a un’abilità strumentale che non lascia indifferenti.

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