Neil Young vs. Spotify: una questione spinosa #sottotraccia

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Certe notti la radio che passa Neil Young sembra avere capito chi sei, diceva Ligabue circa un secolo fa. E certi giorni Spotify che toglie dal suo catalogo i dischi di un artista fondamentale e imprescindibile come il canadese, per difendere un podcast ambiguo ma ascoltatissimo, sembra dare il segno dei tempi che viviamo.

I fatti: qualche giorno fa Neil Young ha preso posizione contro il podcast di Joe Rogan, molto seguito negli States, per aver ospitato in trasmissione un virologo, Robert Malone, un tempo pioniere della tecnologia mRNA su cui si basano diversi vaccini anti-Covid ma oggi detrattore dei vaccini. Joe Rogan ha permesso che Malone diffondesse opinioni come il fatto che il vaccino sarebbe un rischio per la salute di chi ha già avuto il Covid. La comunità scientifica ha raccolto firme chiedendo a Spotify di non ospitare più il podcast di Rogan e Young ha appoggiato la mozione, tanto da porre la multinazionale di fronte a un aut aut: o Rogan, o la mia musica. E Spotify ha scelto Rogan, così la vecchia star del rock e del folk ha richiesto la rimozione delle sue canzoni dal servizio di streaming.

Ovviamente, se si semplificano le posizioni, quello che emerge è un confronto impari: Neil Young, quello di Cortez the Killer, di Harvest, uno dei più grandi interpreti e autori del rock ogni epoca, chiede a Spotify di togliere dal proprio palinsesto il podcast di un Joe Rogan qualsiasi, amatissimo in America ma sconosciuto nel resto del mondo. È un attimo prendere posizione: ha ragione Neil, fanculo gli antivaccinisti, chiudete sto podcast e facciamola finita. Oppure: ma come? E la democrazia, e la libera espressione, vorrete davvero censurare il pensiero e le opinioni? Vergogna!

Chiariamo subito: personalmente sono a favore di Neil Young (come cazzo fai a non essere a favore di quella chitarra lì e di quella voce lì) e ovviamente dei vaccini. Anzi penso che chi si esprime pubblicamente contro i vaccini andrebbe come minimo sottoposto a test per verificarne alfabetismo e sanità mentale. Però la questione qui potrebbe presentare qualche complessità in più rispetto ai semplici schieramenti pro o contro. Cominciamo a capire chi è Joe Rogan.

Chi è Joe Rogan?

54 anni, nato a Newark (costa Est degli Stati Uniti, area metropolitana di New York), si è fatto un nome prima come comico, poi partecipando a degli show della Disney, quindi commentando il wrestling in tv. Poi ha scoperto il dorato mondo dei podcast e ci si è messo anima e cuore.

E con un certo non trascurabile successo: il suo “The Joe Rogan Experience” è finito tra i dieci podcast più seguiti d’America. Secondo Forbes, il podcast di Joe Rogan viene scaricato almeno 190 milioni di volte ogni mese. In sostanza è il podcaster che guadagna di più al mondo. Tanto che, secondo il Wall Street Journal, Spotify pagherebbe almeno 100 milioni di dollari per averlo in esclusiva nel proprio bouquet di offerte. E questo già risponde alla domanda: come mai Spotify ha scelto Rogan e non un gigante della musica come Neil?

Rogan si è fatto la fama che ha attraverso interviste e ospitate a diverse celebrità, tipo Oliver Stone o Snoop Dogg, ma anche con qualche punta di controversia, come quella volta che fece fumare uno spinello in diretta a Elon Musk. Oppure quella dello scandalo appunto, in cui ha ospitato Malone e le sue tesi antivacciniste.

Chi è Neil Young?

Ok ragazzi, non scherziamo. Neil Young è un monumento della musica internazionale, dagli anni Sessanta in qua. Ha scritto capolavori assoluti e le sue canzoni stanno lì nel pantheon insieme a quelle di Dylan, di Cohen, dei Beatles. Kurt Cobain, attimi prima di suicidarsi, usò un suo verso (“It’s better to burn out than to fade away”) nella lettera d’addio.

Dal punto di vista delle prese di posizione e delle controversie di certo Neil non è uno che si tiri indietro: ha litigato con almeno un paio di presidenti USA, Bush jr. e Trump, facendo causa a quest’ultimo che usava le sue canzoni nei comizi, senza permesso. Ha preso posizione ripetutamente contro gli Ogm e la Monsanto, gigante dell’agricoltura con tantissimi soldi e pochissimi scrupoli. E ha suonato innumerevoli volte a favore di cause ambientaliste e a protezione delle minoranze, come quella dei nativi americani.

E anche il suo rapporto con i servizi di streaming non è proprio sempre stato idilliaco, anche molto prima del caso Rogan. Si tratta di un problema di acustica, prima di tutto: Young sostiene da tempo che i formati audio digitali in cui la maggior parte delle persone ascolta la musica siano profondamente imperfetti e non forniscono il suono ricco e caldo delle registrazioni analogiche.

“E’ come fare la doccia con minuscoli cubetti di ghiaccio anziché con l’acqua normale”. Si è messo perfino in affari per ovviare al problema: la sua azienda PonoMusic hanno sviluppato Pono, un servizio di download di musica e un lettore musicale dedicato all’audio digitale non compresso di “alta qualità”. Il servizio è stato lanciato nell’ottobre 2014 ma non ha mai conquistato grandi fette di mercato.

Questo non per sminuire la battaglia contro gli antivaccinisti, ovviamente, ma per dire che forse il grande vecchio di Toronto aveva anche altri (validi) motivi che hanno accelerato la presa di posizione contro la multinazionale scandinava. Non proprio celeberrima per la qualità dell’audio.

C’è un problema di democrazia?

Accidenti che domanda difficile. Sono tempi complicati e la disfida scienza contro non scienza è ben nota quando si parla di Covid, vaccini e posizioni ambigue. Però qui non è, diciamo, un Cacciari che va in tv a prendere posizione contro il Green Pass. Né un buffone qualsiasi che va da Giletti a raccontare della sua geniale soluzione contro il vaccino, tipo il braccio di silicone. Qui c’è un virologo che si pone contro i suoi colleghi dopo aver lavorato a favore della tecnologia alla base dei vaccini. Ovviamente non abbiamo la competenza per stabilire se quello che ha detto Malone abbia fondamento o no (i suoi colleghi hanno stabilito di no, e propendiamo a credere ai molti anziché all’uno, ma qui il dibattito si può anche sviluppare legittimamente).

Il problema è: Rogan aveva il diritto di ospitare un dibattito di questa entità su un podcast evidentemente non scientifico? E Spotify deve dare spazio a tutte le opinioni oppure no?

A mio parere: Rogan può ospitare chi gli pare. Sarebbe bene che in momenti così delicati ci fosse un po’ di equilibrio nell’esporre tesi che possono rafforzare le posizioni no-vax, ma tanto quelli si alimentano anche sui blog del cugino dell’amico del parcheggiatore abusivo dell’ospedale, quindi non è che sarà stata proprio quella puntata a essere decisiva nella decisione della Cunial di non vaccinarsi, per dire.

Per quanto riguarda Spotify, il discorso è un bel po’ più complicato di così. Perché ormai percepiamo questi giganti dell’informazione e della cultura (pop, ma sempre cultura) come entità “pubbliche”. Ma come si permette Facebook di censurare questo o quel gruppo, questo o quel commento? Non dovrebbe dare spazio a tutte le opinioni?

Come dirvelo… no. Non deve. Cioè: non è la Rai, con tanti saluti a Boncompagni e Ambra. Non è servizio pubblico, non deve essere equanime. È una società di diritto privato. Idem Spotify: ci sono pochissimi dubbi che siano “in it for the money”, per citare un po’ Frank Zappa e un po’ i Supergrass. Sono lì solo per far soldi. Non per tutelare la democrazia, non per rispettare le opinioni altrui, non per propagandare la cultura e la libertà. Che poi, come sottoprodotto, Facebook, Spotify, Twitter, Instagram, Google e compagnia abbiano capito che è meglio muoversi in ambiente democratico anziché sotto dittature, perciò abbiano un interesse a che gruppi filonazisti, per esempio, non prendano troppo spazio, è un fatto. Ma è, appunto, una scelta, non un obbligo.

Si possono paragonare Spotify o Facebook ai grandi giornali. Il Corriere della Sera, il New York Times, Le Monde e via discorrendo: ospitano una pluralità di opinioni e di “firme” diverse che non appartengono sempre né alla stessa corrente politica né vedono la realtà con gli stessi occhi e alla stessa maniera. Ma sono poi l’editore, il direttore, i capiredattori, i redattori a decidere che cosa sia pubblicabile e che cosa no. Mica ospitano il primo scappato di casa che scrive che nei vaccini c’è il 5G. Ok, ho detto i grandi giornali, non Libero.

Peraltro va sottolineato come Neil Young stia rinunciando a un bel mucchietto di soldi, andandosene dalla piattaforma. E lo fa mettendoci la faccia, con il coraggio e lo stile frontale che ne ha caratterizzato tutta la vita e la carriera. E per questo, e non soltanto per la musica straordinaria che ha regalato in tutti questi anni, avrà per sempre la mia stima e la mia gratitudine.

Però è facoltà di Spotify decidere chi ospitare e chi no. È il capitalismo, bellezza. Che mai come di questi tempi, peraltro, ha dimostrato che di concetti come democrazia, salute pubblica, equilibrio può tranquillamente fare a meno.

Poi sta a ognuno di noi decidere se può fare a meno di Spotify (e di tutti i suoi fratelli), mettere su il vinile di After the gold rush e godersi quel leggero hangover che dà la terza dose di Moderna. Personalmente lo consiglio con un sigaro e un bicchiere di rhum invecchiato.

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