“Tempo fa, per molte notti, mi è capitato di fare dei sogni evocativi. Sognavo delle melodie sospese nell’aria, ne individuavo le linee melodiche e riconoscevo esattamente il mio suono di tromba. Erano arie molto lunghe, a volte ipnotiche, intervallate da molti silenzi. Non potevo perdere quella sensazione e ho deciso di trascriverle al risveglio”.

Il risultato di queste arie è Dreams, il nuovo disco firmato dal trombettista Ramon Moro, accompagnato dal pianoforte di Emanuele Maniscalco. Abbiamo rivolto qualche domanda a Ramon.

Racconti che il disco nasce da vere “visioni notturne”. Puoi raccontare come ti sono arrivate e come ti sei messo a scrivere musica al risveglio?

Sì, per almeno una settimana ho sognato di suonare, sentivo esattamente il mio suono di tromba e nel sogno sapevo esattamente le note che stavo suonando. Erano sempre melodie molto sospese, mai troppo articolate, molto coerenti fra di loro, come se arrivassero da un altro mondo.

Quando al mattino mi svegliavo non ricordavo esattamente le note, ma permaneva nella testa quell’atmosfera e non ho fatto molta fatica a scrivere i temi, erano lì, li cantavo, scrivevo, correggevo qualcosina ed era fatto.

Mi sembra che l’umore complessivo dell’album sia piuttosto malinconico. Che tipo di periodo fotografa?

Io non lo percepisco assolutamente malinconico, per me arriva da un’altra parte e sta lì sospeso. Ovviamente le percezioni degli ascoltatori possono essere molto diverse e può sembrare malinconico, ma posso assicurare che per me è molto sereno e il periodo in cui l’ho scritto è stato un periodo altrettanto sereno, lucido e determinato.

Io sono un po’ malinconico di mio, ho sempre addosso questa sorta di saudade, una sorta di nostalgia che mi accompagna quasi quotidianamente, ma non sono triste, sto bene, sono così e sicuramente questo aspetto viene fuori quando scrivo musica.

Hai scelto di non inserire effetti e di lasciare il suono della tua tromba “pulito”. Puoi spiegare la scelta?

E’ praticamente una dozzina di anni ormai che suono la tromba e il flicorno passando dalla mia pedaliera e due amplificatori enormi, è una sperimentazione che è cresciuta negli anni ed è diventata un’impronta di stile e sonora molto decisa e singolare, che mi ha fatto lavorare in ambiti molto diversi e stimolanti, rock, darkambient, black metal, elettronica, però avevo veramente bisogno di pulizia e lucidità. La musica che ho scritto e i miei sogni li sentivo con il mio suono pulito e assolutamente accompagnati dal pianoforte.

Hai anche limitato il lavoro di improvvisazione. Questa è stata una scelta progettuale oppure emersa spontaneamente durante le lavorazioni?

Non ho fatto tanti progetti a priori, ho scritto i temi e gli accordi, ho incontrato Emanuele e fin dal primo incontro è stata magia. Io non volevo aggiungere nulla, quello che volevo dire è scritto, ho lasciato piccole aperture di improvvisazione a Emanuele, che si è immerso nel mood in modo fantastico. Non volevo abusi di tecnica, improvvisazioni superflue né tantomeno virtuosismi. Musica, punto.

Hai già portato “Dreams” dal vivo? Qual è la sua resa rispetto ai tuoi lavori più sperimentali?

Non ho ancora avuto occasione di portare Dreams dal vivo, lo spero a breve. L’intento sarà quello di creare un’atmosfera in cui l’ascoltatore riesca a chiudere gli occhi e parta per il proprio viaggio, chi con le ali, chi con un’Harley, chi con una Mustang, chi a piedi o in bicicletta, insomma, un’ora della vita lontano dal mondo terreno. Pensandoci bene comunque nei miei concerti in solo con il set più, chiamiamolo, sperimentale, succede esattamente la stessa cosa, per cui l’atteggiamento nel fare musica per me è sempre lo stesso. A presto, grazie.

Ramon Moro traccia per traccia

Le prime note che l’album produce sono quelle di Your Eyes Beyond the Wall, un pezzo morbido e malinconico che mette subito in evidenza le qualità più levigate della tromba di Ramon Moro.

Idee più vivaci quelle di Deciding By Which Side To Be, che ha una struttura sonora simile ma qualche sorpresa in più.

Sogni di distanza quelli di You’re Far Away Now and the River is Flowing, in cui il pianoforte offre tappeti morbidi.

Con Why Do You Wonder Why I Did It? si ritorna in un ambiente ombroso e sempre malinconico, con la tromba a sottolineare i passaggi più intensi.

Spinning on the Carousel propone un’interazione più fitta tra i due strumenti, ma anche qui l’ottimismo non sembra essere di casa.

Il pianoforte di Maniscalco si occupa dell’apertura di What Did You Say? Nothing, I Was Thinking of the Morning, When We Get Up. Poi entra in punta di piedi la tromba, ammorbidendo ulteriormente l’atmosfera.

May I Have One More Dance With You? ha piccole cascate di note dal pianoforte, cui si oppone la tromba che vola alta e pensierosa.

L’album si chiude con Fallen in the Sea. I’ll Get Her Back Next Year: una storia che sfiora il mitologico ma che ha margini di inquietudine molto consistenti.

Un lavoro di grande delicatezza, quello di Ramon Moro e di Emanuele Maniscalco, che non eccede in protagonismi, anzi lascia che sia la partitura a guidare il discorso. Ne esce un disco “sognante” ma anche di pregio, consistente e avvolgente.

Genere: jazz

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