Recensione: Paul Beauchamp, “Pondfire”
Cresciuto sotto i Monti Appalachi in North Carolina, Paul Beauchamp ha iniziato a sperimentare fin dalla tenera età, finendo poi in formazioni in cui suonava strumenti improbabili. Ora viaggia da solista, a volte anche in Italia, e prosegue con il proprio lavoro di sperimentazione: il suo ultimo lavoro è Pondfire.
“Sono cresciuto nella fattoria di mio nonno – racconta Beauchamp – nel bacino del Muddy Creek in North Carolina. Mio nonno era Hubert James Slater ed è stato l’uomo più importante della mia vita. Per una coincidenza interessante siamo nati lo stesso giorno, l’8 giugno. Vivere nella fattoria ha significato un lavoro estremamente duro ma allo stesso tempo un posto incredibile dove crescere, tra animali di ogni tipo e acri e acri di spazio dove due giovani fratelli potevano trovare con facilità modi di mettersi nei guai.
Il mio posto favorito nella fattoria era lo stagno. Durante le estati mio fratello e io ci passavamo ore e ore attorno a un fuoco, osservando le stelle e bevendo birra tutta la notte”.
Paul Beauchamp traccia per traccia
La prima traccia è Icicles, che oscilla tra isole di suono in uno stato di equilibrio complessivo, immersa nei flutti di sonorità liquide. La title track Pondfire sembra partire dagli stessi presupposti, ma si è smarrita senza dubbio la serenità quasi pre-natale della traccia precedente: anche qui si naviga, ma ci sono ostacoli minacciosi e pericoli che incombono. Da metà brano in avanti un ritmo insistente produce sensazioni contrastanti, meno minacciose ma non molto tranquille.
L’inquietudine serpeggia anche nelle plaghe di Muddy Creek, il già citato fiume che scorreva nel territorio della fattoria del nonno, con un’atmosfera da colonna sonora thriller e piccoli suoni acuti a insinuarsi sotto pelle. Più quiete le evoluzioni di Old Philip’s Bridge Lament, almeno sulle prime, anche se qualche movimento strappa il sipario e turba la malinconica tranquillità complessiva.
Tutto è dimenticato, però, nello scintillio di Muscadine, che emerge dal torpore con la spinta giusta per sfolgorare di luce propria. Con La Quercia (titolo in italiano) si torna a scavare in sotterranei piuttosto isterici, con sonorità che crescono in modo pericoloso. Nel finale, levarsi di fantasmi. Il disco si chiude su note più rassicuranti, quelle della progressione acustica di Redbelly, con sonorità vagamente ispirate al barocco.
Forse era possibile sorprendere in modi diversi, ma l’opera di Paul Beauchamp ha una propria coerenza e riesce a sortire buone sensazioni a ogni traccia, costruendo un tutto con cui confrontarsi, sfaccettatura per sfaccettatura.
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