Scarda è il diminutivo di un cognome: Scardamaglio, Domenico, Nico per gli amici, classe ’86, calabrese di adozione, trapiantato a Roma ma nato a Napoli. Inizia così la biografia di Scarda, protagonista della nostra intervista, dedicata all’uscita del terzo album di inediti Bomboniere, all’amore, alla musica e alla voglia di ricominciare a suonarla (e ascoltarla) live.
ll tuo nuovo album Bomboniere declina l’amore in ogni suo aspetto, raccontando ogni fase della relazione con le sue gioie e i suoi dolori. Dall’innamoramento alla relazione finalmente perfetta, fino all’abitudine e alla sofferta separazione. Ti prego, dicci che hai capito qualcosa dell’amore almeno tu!
Io dell’amore ho capito tante cose, la verità è che queste cose le capiamo tutti e tutte con l’esperienza ma un conto è essere coinvolti e un conto è guardare da fuori. Quando le cose accadono a persone diverse da noi siamo bravi ad analizzare, lo siamo un po’ meno quando le dinamiche dell’amore ci colpiscono in prima persona, tutti i consigli che diamo agli altri finiamo per non seguirli. In questo disco parlo da analista che sta un po’ dentro e un po’ fuori, parlo di tante cose che ho capito sull’amore ma che non sono riuscito ad applicare nella metà dei casi. Quindi si, ho capito qualcosa dell’amore ma poi ho sbagliato lo stesso, di certi errori però non mi sono pentito, hanno lasciato cose importanti.
In Niente, il primo singolo, canti: “Non lo vedi che io sto morendo e tu guardi chi ti sta chiamando” e mi viene da chiederti una cosa sull’amore ai tempi dei social. Pensi che effettivamente ci sia stato un cambio nella natura e nella durata dei sentimenti da quando siamo così digitali?
Credo che con i social ci sia stata una dematerializzazione dell’amore, come è avvenuto in tutti gli altri ambiti, faccio l’esempio della musica, ascoltarla e avere un vinile in casa adesso sono concetti separati. In amore adesso teniamo molto di meno alle foto insieme, non scriviamo più lettere e non ci innamoriamo più della calligrafia di lei o di lui, la vediamo raramente. I bar che erano i nostri antichi social network ora, spesso, sono il posto in cui si definisce meglio la conoscenza della persona che abbiamo già sentito on line e che incontriamo di persona per confermare o meno le nostre impressioni-intenzioni.
Sì, diciamo che i social hanno reso gli appuntamenti dei colloqui in vari step, ci sottopongono a molti input, ci danno più possibilità di contattare ed essere contattati, e questo effettivamente ha fatto sì che le relazioni durino di meno perché la comfort zone non è più stare con la stessa persona ma la possibilità di attingere a un serbatoio infinito. Ci sono tante cose che si potrebbero dire, ma le hanno già scritte Bauman e tanti altri, quello che posso dire io rispetto a Niente è che volevo esprimere quel senso di “sto morendo perché stiamo qui, insieme, io e te e tu stai li col cellulare a parlare con altri, la mia presenza, per te, non annulla tutte le altre”.
Bagaglio a mano è la mia personalissima canzone preferita, si percepisce la stessa emozione di Sorriso…
Bagaglio a mano ha un inizio strong: “io vorrei morire del tutto, perché sopravviverti è come un insulto”, parla di quella apparente inutilità delle relazioni finite, quel senso di “cosa l’abbiamo fatto a fare?”. In verità poi, quando alcune cose ci tornano in mente, in certi momenti, sentendo un odore, guardando un colore sul mare, sui palazzi, quel sentimento un po’ sfocato che sentiamo dentro è ciò che dovrebbe farci pensare che comunque vada ne è valsa la pena, di unire i respiri per stare bene, anche solo un anno, anche solo sei mesi. Mi fa piacere che ti faccia percepire le stessa emozione di Sorriso.
Devo dirti una cosa. Leggo sempre i testi prima di ascoltare un pezzo nuovo, e mi ha stupito come ogni parola sia messa al posto giusto, cantata con un’intonazione che sta a pennello messa lì com’è… Quanto è lavoro certosino e quanto ti riesce naturale?
Il lavoro dietro assolutamente c’è, è certosino, dura mesi, non sono il tipo che scrive canzoni in pochi giorni. Nel caso specifico di questo disco però sono stato aiutato da Vincenzo Colella, che è un autore Sony, me lo hanno affiancato ed ero inizialmente scettico, ma la verità è che mi ha insegnato molte cose.
Diciamo che c’era l’esigenza che io non scrivessi il terzo disco in rima baciata e lui mi ha insegnato come si fa, il suo intervento è stato delicato, non è stato invadente, non aveva l’obiettivo di scrivere lui le cose ma di fare arrivare me alla formulazione giusta del concetto ricorrendo a tecniche di “assonanza” più moderne. Quindi sì, c’è un lavoro certosino dietro ma anche un “know how” di questa persona a cui ho fatto ricorso in molte canzoni, che ha fatto si che ogni parola fosse al posto giusto e con la giusta intonazione.
Quali letture potrebbero accompagnare l’ascolto delle canzoni di Scarda? Hai qualche suggerimento per capire da dove arrivano alcune delle emozioni che hai messo in musica?
Pedro Salinas – La voce a te dovuta, Henri- Pierre Rochè – Jules e Jim, Franco Arminio – L’infinito senza farci caso, Chicca Gagliardo – Il poeta dell’aria, Alda Merini – Folle, folle, folle di amore per te, Paolo Cognetti – Sofia veste sempre di nero.
Dopo mesi lunghissimi ricomincia l’estate, ricominciano i live. Quanta voglia hai di tornare sul palco?
Tantissima, spero davvero che pian piano le restrizioni allentino e che i concerti tornino ad essere delle feste come erano prima. Io credo che ormai non siamo lontani.
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