Si chiama Thomas Pololi: la sua vena stralunata a e poetica ha preso forma  attraverso l’ep Il mio equatore, finanziato attraverso una campagna su Musicraiser e prodotto insieme a Geppi Cuscito (Casino Royale). Gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Mi racconti qualcosa della tua storia?

Musicalmente, la mia storia si sviluppa totalmente all’interno della mia stanzetta dal 2003 fino al 2009. Mi ero trasferito a Milano, vivevo in un bilocale in cui mi ritrovavo spesso solo e non conoscevo molte persone, quindi staccavo dal lavoro intorno alle sei e poi non sapevo bene che fare fino alla mattina dopo.

Diciamo che ero abbastanza disperato, come tipologia umana. Un giorno mi ricapitò in mano la chitarra che suonavo a 15 anni e mi stupii di saper fare ancora gli accordi, così iniziai a passare alcune delle mie serate ululando parole a caso mentre strimpellavo.

Dopo un po’ di tempo son venute fuori le prime canzoni, che ora però non suono mai perché son terribili. Ho iniziato a suonare davvero nel 2009, quando il mio amico Valerio Millefoglie m’ha invitato a fare una canzone durante una serata, e sono riuscito per la prima volta a vincere il terrore ed esibirmi davanti ad altre persone abbastanza convinto di quello che stavo facendo.

Ti autodefinisci “aspirante Elliott Smith bergamasco”… Oltre al grande e sfortunato cantautore, chi sono i tuoi modelli di riferimento? Che musica ascolti nel tuo tempo libero?

Quando scrivo che sono un “aspirante Elliott Smith bergamasco” sono in parte autoironico perché per qualche motivo mi fa ridere il fatto di suonare e cantare, sarò sempre un aspirante qualcosa, anche perché non so fare manco un assolo.

Però è anche un desiderio vero, quello di avere il coraggio di esporsi fino in fondo, di non mascherarsi dietro personaggi costruiti. E.S. ci riusciva. Io ci provo.

All’inizio facevo il cretino mettendo una pelliccia e cantando canzoni un po’ tamarre con il nome “Il primitivo”, poi ho capito che era solo un modo per nascondermi e sembrare un altro, perché avevo paura a presentarmi come Thomas Pololi, come me stesso.

Anche adesso ho paura, ma lo faccio ugualmente, perché so che dopo starò meglio, e poi risparmio sullo psicologo. Sulla musica nel tempo libero, per qualche motivo non ascolto quasi mai nulla in casa. La sera leggo, vedo film, perdo tempo su Facebook finché mi viene sonno.

La musica mi piace sentirla quando mi sposto, e mi piace praticamente tutto, fare le canzoni è una cosa così strana che chiunque lo faccia ha tutta la mia ammirazione, da Yma Sumac a Checco Zalone.

Leggo che ti occupi di “raccolte di quaderni di scuola”: a parte chiederti qualche precisazione in merito, nelle tue canzoni spesso utilizzi volutamente un linguaggio infantile. Da dove nasce la scelta di questo tipo di linguaggio?

Quella dei quaderni è una storia lunghissima, posso riassumerla dicendo che il motore di tutto quello che faccio, non solo la musica, è la passione per la scrittura e le storie.

Credo che la scrittura infantile a volte possieda delle qualità uniche: errori, lapsus, o anche solo modi di dire tipici del linguaggio parlato dei bambini, che è molto semplice e diretto. Purtroppo non riuscirò mai a scrivere come quando avevo 10 anni, ma l’obiettivo è quello.

Trovo molto singolare il video de “L’alba di Mercurio”: nel testo parli di un mondo futuribile e surreale, mentre le immagini illustrano la Cina di Mao, la sua propaganda e le simulazioni di battaglia. Come è nato l’accostamento?

Non so nemmeno bene io di cosa parla quella canzone, quindi volendo poteva starci qualsiasi cosa. Siccome non mi piace l’idea di comparire nei video e ci sono in giro tantissime immagini meravigliose, ho pensato di prendere del materiale libero da diritti e con una forza visiva che non avrei mai potuto ricreare in nessun modo.

Le esplosioni atomiche sono stupende da vedere e terribili allo stesso tempo, l’accostamento alba atomica-alba di Mercurio è forse l’unico vero link con la canzone. Tra l’altro secondo me meno stretto è il legame di quello che si vede con quello che si sente meglio è, c’è molto più vuoto in cui mettere le proprie riflessioni.

A Mao proprio non ci ho pensato, anzi c’era un momento in cui compariva e l’ho tagliato, mi interessavano gli uomini che saltano di gioia e vanno a cavallo sotto il fungo atomico, mi sembra che rappresentino bene quel desiderio che un fattore esterno ponga fine a tutto che si ha nei momenti disperati.

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