Su TRAKS, tra tante rubriche nuove, ce n’è una che non ti abbandona: ecco ancora una volta SHORTRAKS, con tre recensioni in breve di dischi magari usciti da qualche tempo ma da non perdere. Questa volta tocca a Lechuck, Alfabeto Runico, I Traditori.
Lechuck, Dovresti farlo adesso
Genere: alternative rock
I Lechuck sono tre amici di Torino. Suonano solo strumenti analogici, cantano tutti e tre, a volte urlano. Chi scrive di musica li incasella tra emo, post-punk e post-rock. Un tempo noti come Sdeghede, girano con due ep in tasca. L’ultimo, un concept-album su Nikola Tesla, è uscito qualche anno fa per Edison Box. Il loro esordio sulla lunga distanza è Dovresti farlo adesso, fuori per Dotto / Scatti Vorticosi / Dreamingorilla Records / Entes Anomicos (Ger) / Brigante.
Si parte da Colpa, apertura già roboante, elettrica e vistosa. Le parentele con hardcore e screamo sono piuttosto evidenti, anche se si sembra voler privilegiare una certa compostezza di fondo. Si urla di più su Molla, animata da sensi di rimpianto e da un drumming robusto. Drumming che si conferma anche in Tubo, animata da inquietudini taglienti. Caratteristiche più notturne per Truffa semantica, che ha trame più fitte rispetto agli altri brani del disco, prima di un’uscita molto violenta.
Mattonella offre proporzioni vocali diverse, con un senso di angoscia ritmica crescente. Carogna, con Solotundra, si rivela contrastata e dialogante, con una crescita sonora progressiva molto ben organizzata. Stilema riparte a spron battuto, celebrazione di due giorni felici, propugnata soprattutto grazie alla chitarra. Si chiude sui battiti e la ferocia di Colla vinilica, una sniffata di rock potente ma non selvaggio, più disperato che arrabbiato. Buon disco, di intensità e passione evidente, per i Lechuck, in cui traspare anche una certa cura dei dettagli.
Alfabeto Runico, Alfabeto Runico
Genere: folk, jazz
Pensi alle rune e ti vengono in mente i Vichinghi. Invece gli Alfabeto Runico sono un trio che ha poco a che fare con il profondo nord, ma anche con il pop comunemente inteso. Due contrabbassi, più viola e voce, il suono degli Alfabeto Runico pesca dalla tradizione ma non ha intenti archeologici. Il loro primo disco omonimo è stato registrato a Napoli presso il Sanità Music Studio, nella Chiesa di San Severo fuori Le Mura, cuore del Quartiere Sanità.
E contiene tredici brani: canzoni tradizionali riarrangiate, composizioni originali e due inediti composti interamente dal trio. Si parte con un classico dialettale pugliese come Bedda ci stai luntanu, che già porta qualche germe di innovazione nel cantato. Con Perdo si affronta un mood più jazzato, perfino urban qui e là, con un cantato vivace e un attegiamento pop.
Con La Montanara di Carpino si esce dalla città e si declina anche l’umore su toni più cupi e drammatici. Si passa all’inglese con Fluid, ritmata e con un passo sincopato, a consumare gli archetti in movimenti di una certa intensità. La via delle fontanelle mixa sapientemente dialetto e fluidità, rivelando sempre nuovi aspetti e nuove possibilità della band. Abuela passa allo spagnolo e a un’intimità conseguita goccia a goccia. Escursioni quasi classiche si affrontano in Freilach Fun L.A., prima che il tutto si trasformi in una danza gitana e balcanica.
C’è molta più calma in Drops, che mescola italiano e inglese per cercare contatti e dettagli. Con L’America siamo in campo d’emigrazione, alla volta di una canzone popolare di nascita ma contemporanea per la ritmica e la composizione. Si viaggia di ironia da spiaggia su Nutrimi, moderata nei toni e nei ritmi ma con buoni spunti. Limes torna notturna, sottotraccia, ma ogni tanto esplode di piccoli e furiosi passaggi.
Invece si blueseggia su Ambulance, che però ha due facce, e la seconda è più inquieta e nervosa. Chiude Ninna Nanna di San Marco la Catola, su piani “popular” e tradizionali. Ovviamente bisogna superare alcuni ostacoli per apprezzare a fondo il disco dell’Alfabeto Runico: la strumentazione, l’uso frequente del dialetto, contenuti non immediati. Ma se si gettano i pregiudizi alle ortiche ci si trova di fronte a un disco non soltanto molto interessante e ben fatto, ma anche estremamente piacevole.
I Traditori, Delicato
Genere: itpop
Delicato è il disco d’esordio de I Traditori, registrato allo Stonebridge Studio di Cesena e in uscita per Libellula. Dieci brani che tratteggiano un “quadretto all’italiana” tra amori, lavoro e disagio, e dove il gusto per le atmosfere anni ’80 e ’90 incontra quello per il pop più ritmato e orecchiabile. Si parte da Povero Sfigato, un simpatico ritratto di uno sconfitto dalla vita con allegre musichette synth pop anni ’80 (un filo TommasoParadisiache, in verità) con un finale ottimista: “sei in esubero/fai schifo al cazzo”. Tastierine itpop anche per Coriandoli: cattiva digestione e relazioni precarie sono al centro di pericolosi lanci di coriandoli, appunto, molti sensi pop e autocommiserazione.
Parquet parte vivace, con il basso a richiamare un groove intenso e allegro, già protagonista di video e singolo e non a caso, visto lo scintillio pop continuo. Molto più moderata Eri una persona per bene, canzone delusa e con risonanze. Chitarra scatenata in apertura de Le Carezze, con curiose evoluzioni di letto al centro di un discorso che sta tra il pop e la disco dance. Si torna a modi più vellutati con Interstella, che si apre fino a raggiungere un synth pop nostalgico e moderato.
Anche Botero esce un po’ dai canoni del pop energico, ritrovandosi più meditativa e contemplativa, visto il riferimento pittorico. Tutt’altra atmosfera per Le Donne, che parte da affermazioni chiare e incontrovertibili (“Le donne hanno sempre ragione”) per poi passare a un rock’n’roll piuttosto elettrico e vibrato. Con Treno ci si confronta con svariate delusioni e anche con molta elettricità (notevole l’immagine “esco a far la spesa/con le tasche morte”). Con Lignano ci si diffonde in particolari, a volte anche non richiesti, di vita vissuta; i ritmi sono lenti, ma più per la malinconia che per la calura da spiaggia. Sotto la maschera dell’itpop I Traditori celano gusti e ascolti diversi, ma soprattutto rivelano molte facce, tante quante sono le canzoni di questo disco. A volte sorridono, a volte sghignazzano, a volte si fermano un po’. In ogni caso convincono.
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