Io con la mia bomba porto la novità/la bomba che debutta in società/al ballo mascherato della celebrità

Fabrizio De André, “Al ballo mascherato”

C’è perfino un talent, e di solito quando la televisione arriva su una situazione, un fatto, un evento significa che è piuttosto conclamato. Sto parlando del fenomeno, ormai dilagante, dei cantanti, cantautori, cantautrici, band intere che si mascherano, che si nascondono nell’ombra o che in qualunque modo nascondono la propria identità.

Il talent in questione è The Masked Singer, riproposto anche in Italia come Il cantante mascherato (e vinto da uno che non è un cantante, per inciso, cioè Teo Mammuccari). Ma anche nella musica vera, a qualunque livello, sono davvero tanti gli artisti che preferiscono mantenere segreta la propria identità.

Non che sia una novità: dai Kiss ai Gorillaz ai Daft Punk gente che si è messa un casco o una maschera o del trucco pesante o degli avatar disegnati per cantare e salire su un palco ce n’è sempre stata.

Ma non è mai stato un fenomeno italiano se non del tutto marginale. Invece in questi anni abbiamo assistito a un incremento esponenziale del fenomeno.

Certo, ci sono naturalmente precedenti importanti di nascondimento anche da noi. Battisti che si chiude nella sua Brianza velenosa, in una quarantena durata venticinque anni, segnala la sua sofferenza nel mostrarsi. E Mina, che ormai si fa stabilmente rimpiazzare in pubblico da una papera disneyana con le sue fattezze, anche quando si tratta di interpretare uno spot, lo fa in maniera anche maggiore.

Ma è ora che l’eccezione è diventata una regola. A dimostrarlo ci sono i Tre Allegri Ragazzi Morti, pilastri inalienabili dell’indipendenza all’italiana, forti di fan spesso mascherati come loro, che hanno trasformato i loro teschietti in simboli di identità/non identità, quasi una riproposizione triveneta e punk del misticismo dei Deadheads americani degli anni Sessanta e Settanta.

C’è M¥SS KETA, che dietro la sua maschera nasconde un misto di sensualità, provocazione e ironia. C’è stato il caso di Junior Cally, “smascherato” anche per via dello scandalo che suscitò la sua partecipazione a Sanremo 2020 (sembrava importante, all’epoca, ma la querelle fu superata poi in importanza dall’affaire Bugo-Morgan e quindi da quella sciocchezzuola della pandemia).

C’è un personaggio particolare come The André, con una voce che rievoca in modo quasi inquietante il più nobile dei cantautori di casa nostra, ma si mantiene nell’ombra anche quando effettua duetti. C’è Liberato, ovviamente, con tutte le ipotesi fatte sul suo conto e con gli stadi riempiti e un successo clamoroso. The Bloody Betroots con le sue variabili anche sonore e sperimentali.

E ancora casi come i Legno con le loro scatole sulla testa, Piccoli Bigfoot con la sua bella faccia pelosa. E anche personaggi di cui ci siamo occupati di recente su TRAKS, come Dinosauro, gli AZA che si nascondono dietro un chihuaha, Zero Portrait, il recentissimo Andreotti che si cela dietro una maschera del medesimo e leggermente controverso ex premier. E sicuramente mi sto dimenticando molti altri esempi importantissimi. Un discorso che prescinde dal genere di preferenza, visto che si va dal folk all’hip hop alla musica d’autore.

La domanda è semplice: perché? Sono cresciuto in quella che mi hanno raccontato essere la cultura dell’immagine. Apparire è più importante di essere, e bisogna concentrare ogni energia per conformarsi alle esigenze dei media che ti vogliono sempre bello e performante. A colpi di cosmesi, Photoshop e chirurgia plastica, se serve.

A maggior ragione ora, che con i social anche il privato degli artisti è in bella mostra praticamente sempre: è concessa qualche ora di sonno (poche) ma poi da colazione a notte fonda la faccia dev’essere in mostra sempre, il sorriso smagliante, i muscoli tonici per mostrare come anche nella propria vita privata si sia simpatici e propositivi. Mica vuoi deludere i tuoi fan e dimostrarti sfatto o svogliato? A meno che il tuo personaggio, la tua maschera, non sia quella dello sfatto e dello svogliato, ovvio.

Intendiamoci: mettersi una maschera è soltanto un modo diverso di attirare l’attenzione. E filosofi e psicologi, nonché qualche romanziere, ci spiegano da secoli che tutti indossiamo una o più maschere, secondo l’opportunità.

Ma c’è un’esigenza diversa che sembra emergere da questa tendenza a nascondersi. Una richiesta di libertà, probabilmente. La possibilità di comportarsi in modo buffo o singolare e di mantenere la propria reputazione. La possibilità di provocare e di non essere sottoposti a giudizi bacchettoni. O di far sì che il pubblico si concentri soltanto sulla musica, sul messaggio. Senza farsi distrarre da dettagli come l’aspetto fisico.

È come se questi artisti volessero dirci che c’è qualcosa di più importante dell’essere carini e ammiccanti.

È senza dubbio un caso singolare che questa ondata di artisti si sia materializzata proprio ora che tutti siamo obbligati a portare una maschera anche esteriore. Anzi, una mascherina, come da diminutivo necessario, che la distingue dalle sorelle maggiori, come quella da sub, quella di Carnevale e quella, anche più spaventosa di questi tempi, che porta ossigeno a chi non respira.

Perché al di là dell’angoscia dovuta al virus, possiamo testare un po’ tutti un briciolo di libertà maggiore nell’indossare la mascherina. Io per esempio vado in bici, indosso mascherina e auricolari e non mi vergogno più, se mi viene da cantare sottovoce. Anzi, penso che terrò la mascherina anche dopo il vaccino, a vita.

Cantare, suonare sono esperienze viscerali. Per quanto business ci sia dentro e dietro, per quanta tecnica e razionalità si applichi al processo, ci sarà sempre qualcosa che ha a che fare con lo stomaco e altri organi interni. E più è personale ciò che si getta sul palco, più è necessario proteggersi in qualche modo.

Perché è vero ed evidente che molti artisti hanno un ego ipertrofico, totalizzante. Ma a volte è così vasta l’apparenza da mascherare (ancora questo concetto) fragilità intime profondissime. E qui bisognerebbe parlare di droga, depressione, suicidi e altri aspetti del rock’n’roll (e del pop, del rap, della musica classica) che non sono al centro di questo articolo.

Per cui ecco la maschera: esteriore, rassicurante, avvolgente e sostitutiva dell’ego ipertrofico. Praticamente un modo per rendersi visibili senza avere troppi contorcimenti invisibili.

Resta da capire se, come si spera per le mascherine, si tratti di un fenomeno transitorio, che una volta passata l’esigenza momentanea, lascerà spazio ad altri modi di interagire con il pubblico. Tipo suonare in concerto dando le spalle al pubblico, come faceva Miles Davis.

Ma se invece si rivelasse un modo “adulto” di entrare in simbiosi con chi ti ascolta, senza per questo perdere neanche un attimo della propria umanità, forse bisognerebbe renderla obbligatoria. Non soltanto per i cantanti.

Fabio Alcini


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