Si intitola L’ultima casa accogliente il nuovo album del Circo Zen, che vede la luce in un momento in cui il restare a casa sembra essere la sola opzione consigliata per riuscire ad arginare la pandemia. Anche se la casa a cui si riferiscono Appino, Ufo, Karim e il Maestro Pellegrini è il nostro corpo, e non un insieme di oggetti che ci aspetta la sera una volta varcata la soglia. La cosa buffa è che i brani sono tutti nati prima del lockdown di marzo, prima che la casa diventasse prigione. Il corpo, invece, forse lo è sempre stato. Così come ha sempre saputo essere astronave, per portarci lontano fisicamente e non, anche attraverso la musica.
The Zen Circus traccia per traccia
Una poesia va scritta, dedicata e poi abbandonata / Chi la usa per piacere agli altri beh, l’ha sprecata
Catrame è la prima traccia di questo nuovo viaggio, nonché secondo singolo estratto. Malinconica e riflessiva nel testo, quasi un girotondo nei suoni, le dinamiche familiari che un tempo identificavamo come catene tornano a fare capolino, tra amore, liberta ed eternità. Non è un caso che gli stessi artisti abbiano raccontato che questi nuovi brani siano i più musicalmente liberi, e lo si comprende fin dai primi minuti.
Ah, guarda quanta gente / perché mai dovresti esser tu importante?
I nostri destini Appesi alla luna sono raccontati nel primo singolo estratto dall’album, facendo acuire la sensazione di essere in bilico che tutti abbiamo provato almeno una volta, e che senza dubbio ora fa capolino più spesso visto quanto ci circonda. Sentirsi importanti in mezzo a tutte le persone sembra quasi arrogante, ma alle parole d’amore continuamo a credere come se davvero qualcosa di eterno fosse possibile. Morbidi nei suoni, taglienti nei pensieri che riescono a indurre.
Questo oceano di tempo dentro la memoria / come se capirlo servisse a qualcosa
Come se provassi amore è un flusso di coscienza, dalla nascita ai momenti a scuola, dalle difficoltà con i genitori al momento in cui si diventa grandi e si possono prendere decisioni scegliendo per proprio gusto e non per assecondare richieste altrui, fino al presente, quello in cui il tempo cola dalle dita e il futuro immaginato monopolizza i pensieri tra speranze e timori. Capire da dove veniamo e dove stiamo andando a volte sembra essere fondamentale, altre serve solo a farsi un po’ più male.
Non è quel viaggio che mi ha cambiato / piuttosto quando sono stato viaggiato
Arriva poi il momento di Non, la traccia che farà urlare il pubblico quando si potranno di nuovo organizzare concerti, quella che aspetti che arrivi e che se non è ancora arrivata e le luci si abbassano inizi a gridarne il titolo sperando di essere accontentato da chi è sul palco. Inizia al pianoforte, cresce lentamente mentre davanti vediamo scorrere le nostre immagini raccontate dalla voce amica di Appino. Sembra abbracciarti, sembra schiaffeggiarti, sembra saper fare tante cose per essere solo una canzone.
Il tuo nome non fa rima / con niente, con nessuno
Come unghie sulla lavagna arriva Bestia Rara, ispirato al documentario La storia di Filomena e Antonio. La protagonista è la donna, il suo corpo e le sue scelte, accompagnate dal vociare della gente che sempre avrà qualche critica da muovere, qualche scelta da giudicare, qualche dito da puntare. Un lungo finale strumentale, un’aria un po’ spettrale che riporta a quel che gli Zen Circus suonavano qualche anno fa.
Ci lasciamo dietro un solco/ e qualche chicco di grano/ figli qualcuno e accanto nessuno
Ciao sono io è forse il pezzo più inaspettato di tutti. Non tanto per la storia che Appino sa sempre raccontare, ma per la struttura e l’arrangiamento. Si fa quasi fatica a pensare al circo Zen con giochi di voci e cori, ma lo stupore resta piacevole fino alla fine. Ancora la morte, ancora corpi che volenti o nolenti si mangiano la nostra scena molto più di quanto potremmo mai fare noi soli, nudi.
Siamo fatti così / eroi il weekend, schiavi il lunedì
Altre sfumature di voci, nuovi colori ma un mood che accompagna Appino e i suoi fin dai tempi più lontani. Cattivo ci fa guardare il protagonista della nostra vita come se fossimo al cinema, non riuscendo a comprendere fino in fondo se siamo noi o se è Dio. C’è apatia e contemporaneamente voglia di spezzare rime inutili, ma soprattutto il bisogno di riconoscersi, di fare pace, di riuscire a non cadere provando a volare.
La guerra che hai dentro, una passeggiata / fra la vita vissuta e quella raccontata
È strano come funzioniamo. 2050 è una canzone d’amore, o almeno, questo è quello che stavo per scrivere. Ma anche le precedenti, in fondo, lo sono. Tutte, a modo loro. È che l’amore troppo spesso viene limitato a quello che lega due anime, due metà, e ci si dimentica di quello che tiene ancora in piedi ciò che di buono si vede nel mondo. Una storia nel futuro, una pancia che cresce, un volersi bene che si solidifica affrontando tutto senza forse fare nulla sul serio.
Un frontale ti salva la vita, a volte è necessario
Non lo avevamo ancora detto, ma Appino è innamorato. E questa volta lo dice proprio senza lasciare spazio a dubbi. L’ultima casa accogliente è Elena, è il tir che sbuca all’improvviso, ti travolge e ti cambia la vita, salvandotela. E non sempre è facile, soprattutto quando le ferite che bruciano ormai sembrano incurabili. Un lungo strumentale accompagna con il suono ciò che ancora le parole non hanno raccontato, abbracciando completamente l’idea di questo amore che ha disteso le rughe della fronte.
Ok, se il Circo Zen ci ha accompagnato negli anni potremmo uscire dal primo ascolto un po’ storditi. Pestano meno, spettinano meno, ma sarebbe forse anacronistico continuare a sfoderare la stessa arma per 20 anni. Si cresce, e Appino e i suoi lo hanno fatto ancora. Se già con Il fuoco in una stanza era stato, in parte, archiviato un po’ di quel mood, in questo nuovo capitolo si è mosso ancora qualcosa. Tutto è suonato, la musica è viva, si muove senza rispettare nessun confine se non quello che oggi sembra quello giusto per la versione di noi che siamo diventati. E va bene così. Dentro a questa casa risorgeremo, e sulla notte torna il sereno.