Vorrei tanto non dover guardare è il primo lp di Tra gli Altri, alias del musicista emiliano Marco Mattioli, già chitarrista di band come Diluvio, Sex Offenders Seek Salvation e Maybe Happy. Lo abbiamo intervistato.
Come ci si trasforma da chitarrista in band a cantautore solista, tra l’altro con propensioni così intime?
Le trasformazioni e le evoluzioni in campo artistico credo che siano sempre dietro l’angolo, ho coltivato il desiderio di poter generare un progetto solista per tanti anni ma senza mai trovarne la giusta natura o collocazione. La pandemia mi ha aiutato parecchio, offrendomi la possibilità di passare molto tempo con me stesso, senza poter fare altro che reinventarmi partendo appunto da questa intimità che è così preponderante nelle canzoni del disco.
Le incertezze di quel periodo mi avevano chiuso in un limbo in cui la mia figura di chitarrista di band era sospesa, congelata e inconsciamente non riuscivo nemmeno a trovare gli stimoli per progettare qualche nuova idea da sottoporre ai miei colleghi non appena ce ne fosse stata la possibilità, ero completamente svuotato.
Pensa che avevo ponderato l’idea di smettere di suonare. Poi ho provato a cambiare punto di vista: ho messo le mani su un pianoforte e ho recuperato in prestito una vecchia chitarra classica e da quel momento mi si è aperto un mondo nuovo.
Sembra evidente che le tue canzoni nascano dal tuo vissuto. E’ stato difficile mettersi così a nudo?
È stato molto naturale in realtà, come ti dicevo il tempo passato in solitudine tra smart working e azzerando i contatti esterni mi ha permesso di rallentare un attimo la frenesia della routine e di guardarmi un po’ dentro. Ho tirato un po’ di somme rispetto al mio passato, alla mia famiglia, ai miei amici, ai miei traguardi, ma anche ai miei errori, alle mie consapevolezze, ai miei timori, alla mia
dedizione alla musica, ai miei fallimenti, un lunghissimo periodo di autoterapia in buona sostanza. In questo scenario il mettersi a nudo direi che sia inevitabile.
A noi sono venuti alcuni paragoni, ma quali sono i tuoi punti fermi musicali?
Non penso di poter affermare con certezza di avere dei punti fermi, ascolto tantissima musica di diversa estrazione temporale e genere per cui immagino siano parecchi i fattori di contaminazione anche in un contesto “definito” come quello cantautorale. Chi ha ascoltato i miei primi demo ha fatto nomi come Fabi e Sinigallia che sono autori che mi piacciono parecchio e stimo tantissimo, quindi un paragone che mi lusinga ma a cui serve dare le dovute proporzioni.
Ultimamente sto sviscerando l’opera di De Andrè finanche la sua parte umana, lo trovo davvero inarrivabile come musicista, poeta ed esecutore. Questo in estrema sintesi è la mia idea di possibili influenze nella stesura dei brani, ma servirebbe sviluppare un discorso molto più ampio.
Qual è stata la canzone più difficile da scrivere?
Per il tema trattato di sicuro Un pugno di parole. Parlo di una difficoltà emotiva, non tecnica perché tratta un tema per me difficile da
digerire per varie esperienze fortunatamente indirette e passate, che è quello della dipendenza. E’ una canzone che nonostante tutto amo molto e una delle mie preferite a livello di arrangiamenti per la sua essenzialità che lascia molto spazio alle parole, dal vivo di solito la eseguo da solo anche quando c’è tutta la band.
Che programmi hai per questi prossimi mesi?
L’unico obiettivo certo è quello di portare le mie canzoni in giro il più possibile, dopo due anni di stop ho molta voglia di suonare e incontrare gente, a Luglio ho quattro concerti e sto cercando di fissare un po’ di eventi per l’autunno. La formula live è adattabilissima perché posso suonare da solo, in due con accompagnamento di pianoforte/chitarra elettrica oppure full band con sezione ritmica
completa di basso e batteria, quindi c’è modo di suonare in ogni situazione. Intanto mi auguro che il disco venga apprezzato poi si vedrà.
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