Di Greta Abruzzese
È uscito il 15 ottobre il secondo lavoro in studio di Walter Celi, polistrumentista da tenere sott’occhio, pubblicato da XO LA Factory. Si chiama Blend, e proprio come fa intuire il titolo, è una miscela di generi, ritmi, suoni e influenze culturali che danno vita a un prodotto coerente.
Già nel precedente album, Lost in the Womb of the Night, era presente una forte esplorazione musicale, più sperimentale rispetto a questo secondo lavoro, che però guadagna in omogeneità, facendo di fatto fare un salto di qualità a Celi nella potenziale fruibilità della sua musica.
Strada principale percorsa dall’album è quella del soul che si unisce alla dance, per poi curvare e incrociarsi, col susseguirsi dei brani, fra generi e mondi diversi, mentre si dispiegano su di essa pezzi di vita dell’autore, tramite testi semplici e universali.
Un disco di cui si può godere nelle più diverse situazioni. Ascoltatevelo con leggerezza tre o quattro volte, dopodiché mettetevi delle buone cuffie (e che siano veramente buone), chiudete gli occhi, e immergetevi. Vi renderete conto che, dopo un po’, starete ballando, sorridendo.
Walter Celi traccia per traccia
L’album inizia con il pianoforte e i controtempi di Selfish. Già solo i primi 5 secondi di ascolto fanno capire che stiamo andando incontro a qualcosa di qualitativamente buono. Inizia la parte cantata, timbrica e melodia soul, con tanto di controcanti classici del genere. Poi, dopo una breve sospensione, un rapido effetto, parte il clap che scandisce i quarti del brano, introducendo in maniera coerente ma quasi ossimorica la componente dance, dando forma a un brano orecchiabile e coinvolgente.
In Pray la musica segue fedelmente la linea melodica della voce, con un riff fatto di synth di fiati e variazioni ritmiche, a cui viene dato gloria nella coda, facendolo elevare sopra gli arricchimenti vocali. Una benedizione a chi, dopo aver tanto appreso, riesce a volare, con fede, verso la propria strada.
E sembra che la preghiera non smetta neanche nel brano successivo, Surpise, che stupisce per la sua ricchezza di stili, ritmi e sonorità, tutti amalgamati con gloria dalla linea soul e gospel. Un brano che afferra le interiora di chi sente un vuoto profondo dopo essere stato abbandonato da un amore, e che ci lascia, sanguinanti, con una domanda drammatica: “Will I survive?”.
Quarta traccia dell’album è Look At Me, caratterizzata da una ritmica sostenuta, una tastiera dalle sonorità fusion ripetitiva ma irregolare, e un ritornello che si apre, con obbligati e stacchi.
Perso, primo brano in italiano, è il viaggio messo in musica, per terre desertiche e nell’io interiore, alla ricerca della propria pace. È il vagare al passo di lontani ritmi tribali per terre buie, nel tentativo di trovare la strada per smettere di combattere contro se stessi.
Sesto brano dell’album è Out of Order, sonorità appartenenti agli inizi degli anni 2000. Un navigare su mari calmi e spettacolari grazie all’accompagnamento di pianoforte tranquillo e uniforme e alla ritmica, per una volta semplice, che si apre in un ritornello più ricco di atmosfere ariose.
Bright Little Diamond brilla di grande energia, suonando all’orecchio come un mix fra Stevie Wonder, Pharrell Williams e un carnevale sudamericano. Nonostante l’apparente gioia strumentale, il testo è tutt’altro che positivo: “you wanna break my life and what you wanna see is blood babe, so go ahead without me”. Ma, in fondo, un invito a liberarsi di ciò che ci danneggia.
Un’intro quasi country anticipa lo stile fortemente americano di We Will Find A Way, un blues stravolto da un arrangiamento elettrico che dona nuova veste a questa struttura.
La sensazione con Fly High è quella di sdraiarsi, saltare su un pavimento di nuvole e poi viaggiare fra i vari agglomerati, sospesi fra il cielo e il paese delle meraviglie. Gli effetti di sottofondo non mancano, come i fiati, che guidano tutto l’album. Una delicata canzone d’amore, un invito a vivere in un nuovo mondo.
La componente funk su Kiss Me è quella preponderante. Il testo è ridotto a una frase, ripetuta in diverse ritmiche e modulazioni vocali, per un brano dall’arrangiamento irresistibile
L’album si conclude con una dolce ballad, Libera, dedicata alla sorella e alla madre. La prima parte del brano ci fa volare indietro negli anni ’40, a un vecchio locale blues dove un crooner cattura la nostra attenzione, accompagnato dal suono di una malinconica tromba. Progressivamente, con discrezione, entrano in questo tappeto volante degli elementi contemporanei, effetti, sintetizzatori di sottofondo e melodie più attuali, facendoci continuare nel nostro sogno vintage con accresciuto pathos.
La voce di Walter è una ninna nanna che ci accarezza l’anima con delicatezza, accompagnandoci a spiccare il volo verso la nostra libertà di essere diversi.
Walter Celi è un artista da guardare con attenzione. Il talento è tanto, la competenza anche, la voglia di sperimentare e innovare il marchio di fabbrica. Un album che si snoda fra diversi generi in maniera coesa e riconoscibile, che può porsi come pietra miliare di grandi lavori futuri, sia in termini di qualità che in termini di fruibilità. C’è ancora molto margine di crescita, soprattutto per quanto riguarda le liriche, ma sicuramente la strada imboccata da Celi è quella giusta.