Diego Rivera fu uno dei più grandi pittori e muralisti messicani, famoso non solo per la sua arte ma anche per la sua grande fede politica, per i suoi eccessi e per il tormentato amore con Frida Khalo. Non stupisce la scelta di Carmine Tundo (per i più distratti la metà maschile de La Municipàl) di evocare questo personaggio, di prenderne il nome e di cantare così, con una nuova identità, le canzoni raccolte nell’album Gran Riserva, fresco fresco di pubblicazione, primo capitolo di una annunciata trilogia. Diego Rivera è anche il personaggio del romanzo che Carmine sta scrivendo, e che vedrà la luce dopo la pubblicazione degli altri due capitoli.

In Gran Riserva si trovano mescolate la tradizione del cantautorato italiano, le sonorità sudamericane del tango e le influenze del Salento e della Puglia, accomunate dalla passione, dalla sofferenza e dalla necessità. Come un buon vino invecchiato, le diverse tracce hanno bisogno di essere assaporate con calma, lasciando che prendano aria, cogliendone le sfumature e permettendo che siano le sensazioni a prendere il sopravvento: si respira contrasto, morbidezza e calore, proprio come in un buon bicchiere di vino assaporato alla giusta temperatura.

Diego Rivera traccia per traccia

Strumentale e severa, è Nadir la prima traccia, che con le sue sonorità da film western aiuta a immergersi immediatamente nell’atmosfera, quella fumosa, polverosa, seducente e un po’ folle della prima traccia.

noi poveri uomini feriti al petto dagli addii / e se ti perdo poi mi ritrovo contro un muro / a prender pugni o forse a prenderla nel culo

Nei peggiori bar della provincia è il canto dei re magi che hanno un Gesù Cristo con la faccia da delinquente, è la consolazione della notte che riesce ancora a ingannare, ma che di certo non può salvare. Incalzano le voci, incalza il ritmo, incalza la disperazione, a metà tra i fichi d’india e il Far West. Arriva poi Chiaro di Luna, il secondo pezzo strumentale, quasi una intro al pezzo che arriva subito dopo.

Perché mi manchi come mi manca il fiato / e quando te ne vai sai di un rosso scuro

Malvasia nera è il secondo singolo estratto, morbido e avvolgente come il vitigno di cui porta il nome. Il bello di questo brano è che riesce a toccare le corde giuste, metaforicamente e non. Tutti almeno una volta abbiamo invocato il potere rosso scuro sul fondo del bicchiere, abbiamo tutti almeno una volta sentito la mancanza di qualcuno così forte da togliere il fiato, e Diego Rivera sa raccontarlo meglio di quanto forse potesse fare lo stesso Carmine che lo ha creato.

Ci perdiamo tra le onde e tra gli sguardi della gente / tra gli schiamazzi dei turisti stregati dalle tarantelle

Santa Maria al Bagno. Diego Rivera si è presentato così. Un paese di mare sul tacco dello stivale, una donna stronza e bellissima come la fine dell’estate, in un caos moderno che sa di appartenenza nel senso più spiazzante del termine. Ogni parola richiama un colore, una fotografia, un profumo: dall’odore di frittura di pesce tipico dei litorali al vento che soffia inesorabile, tutto riesce a prendere il suo posto, appagando nonostante la malinconia di cui l’intero brano si nutre. Maracuja, il terzo strumentale, conduce dritto fino al settimo brano.

Io e te scapperemmo verso i mari del sud e apriremmo un negozio di scarpe dal quaranta all’insù

Il cuore ferito di Marina trova giustizia ne Il negozio di scarpe: mani di seta e lingua dolce, una moderna Bocca di Rosa che cerca di essere alla moda senza poter calcare le passerelle, che legge l’oroscopo e morde la vita senza seguire la linea tratteggiata che consiglia il giusto percorso.

Sbocciano le calendule sulle crepe del mio cuor

Calendule è un esperimento musicale, come definito dallo stesso artista, una poesia che ha trovato le sue note solo in un secondo momento. La calendula viene usata in cosmetica per le sue proprietà, ma nel linguaggio dei fiori rappresenta il dolore, il dispiacere e le pene d’amore. Lo sa Wikipedia e lo sa anche Diego Rivera, che fa nascere i fiori tra le pieghe di un cuore infranto.

Quante volte siamo stati al mare per redimerci e fallire / quante volte abbiamo spento il sole per poter sacrificare / quella cosa che amo più del mondo il silenzio della notte

La dimensione di quanto si possa riuscire a spaccarsi la testa quando i sentimenti sembrano prendere il sopravvento viene raccontata da A dismisura. Si perde il senso del giusto, si accettano ferite aperte come se fosse normale che manchino dei pezzi, come se l’incastro giusto fosse dimenticato da tempo, sempre che un incastro giusto sia mai esistito. Ultimo strumentale, ecco Aspettando Hydra che arriva a rischiarare animi e pensieri, lasciando aperta la strada per l’ultima traccia.

E in fondo tu sarai per sempre il mio nadir qui nel buio dell’anima

Sarà come morir è l’ultima traccia, l’ultima poesia. Uno dei più importanti riferimenti della volta celeste, il Nadir, ricollega la fine all’origine, il primo brano all’ultimo, l’anima nera di chi scrive a quella di chi forse non ascolterà mai.

Se dovessi trovare un difetto a Gran Riserva è che giunge al termine forse troppo presto. Il viaggio cominciato fra le braccia di questo artista senza tempo regala sensazioni piene, aiuta a riflettere, fa sentire il giusto dolore nel giusto momento, allargando nuovamente l’orizzonte quando sembra di essere sopraffatti. E ti inebria, proprio come un bicchiere di vino, complice il vento e i profumi che trascina con sé.

Genere: cantautorato alternativo

Se ti piace Diego Rivera assaggia anche: La Municipàl

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