Si candidasse ora alle elezioni, Diodato probabilmente prenderebbe il 70% (quindi dai Antonio, fallo subito per favore). Perché il vento in poppa che arriva da Sanremo e da Fai rumore è molto forte, anche se racconta soltanto una piccola parte della storia di questo cantautore dalla faccia pulita e dal cuore così esposto che tutti si sentono intitolati a parlare di con chi è stato o con chi dovrebbe essere fidanzato.

Ma non è che sia arrivato a Sanremo o a Che vita meravigliosa nascendo ieri, Diodato: ok, la babyface ce l’ha, ma ha anche altri due dischi (notevoli) alle spalle, è co-organizzatore del Primo Maggio di Taranto, con tutto il carico di ambito Ex-Ilva e diritti dei lavoratori che si porta dietro, è già stato anche a Sanremo, sia come concorrente sia come ospite (dell’amico Ghemon).

E ha realizzato canzoni importanti, da Babilonia a Ubriaco, mostrando un talento di scrittura e di canto non proprio comuni. Questo disco nuovo è la conferma di quanto già espresso in precedenza. Ed è in fondo un concept album sulle fasi di un addio.

Diodato traccia per traccia

Quante sensazioni di “canzone come una volta” entrano in un pezzo come Che vita meravigliosa, title track e apertura del disco di Diodato? Il ritmo, un po’ danzante, i suoni scelti, il lessico di un cantautore che riesce a essere al passo con i tempi ma anche delicatamente vintage, cantando cose come: “chiudi gli occhi lasciando un sospiro alla notte che va”, un verso che poteva star bene in bocca a Modugno.

Di che cosa si parla in questo disco? Di amore, sempre. Perché alla fine, dai, di che altro vuoi parlare? Così ecco Fino a farci scomparire, che se avesse portato questa all’Ariston avrebbe vinto lo stesso. Linee semplici e battiti profondi, il silenzio che si sente arrivare, il tempo che passa e dà un senso anche alle cose che finiscono.

Fiati e musica allegra per una canzone che di allegro non ha niente: La lascio a voi questa domenica è la storia di un incidente o di un suicidio. “Soltanto un uomo sfortunato” che finisce sotto un treno e deve pure beccarsi le lamentele di chi subisce i ritardi. Lo spunto può essere vero oppure inventato, ma in questa domenica che finisce il cantautore tarantino riversa ancora un po’ di umanità, su ritmi sostenuti, con cori a supporto.

C’è il pianoforte, c’è la passione, c’è lo struggimento e c’è la voce pazzesca in Fai rumore. A chi è dedicata? E chi se ne frega? E’ evidentemente pensata per tutti i cuori spezzati da una relazione finita male o mai iniziata, quella che ti fa sanguinare e ti spezza il cuore, non una volta ma ogni secondo in cui pensi a ciò a cui non dovresti pensare. E’ un messaggio semplice e universale, messo in atto con strategie sonore lineari, un pizzico di synth e una vocalità così tradizionale da risultare sempre nuova.

Il synth e l’elettronica invece prendono possesso totale di Alveari, che parla di cadute “utili” e della capacità di rialzarsi ma soltanto se sei capace di guardare quello che succede fuori. Guerre involontarie e fragilità sono al centro di un pezzo molto 80s, questa volta più sussurrato che gridato.

Ciao, ci vediamo è un altro congedo, tutto sommato con sentimenti conciliati, ma anche con sonorità piuttosto potenti che contrastano con una serenità di fondo. “Se non c’è soluzione/sarà rivoluzione”: una rivoluzione personale prima di tutto, che consiste anche nell’accettare che le cose possano anche non funzionare, a volte.

Coretti iniziali che fanno pensare a Ivan Graziani nell’incipit di Non ti amo più, che però cambia tutto in fretta: altro singolo noto da tempo, mostra la parte più irruente di quella che è una relazione al termine. Il momento del rifiuto: “Eccoci qua/questo è il momento in cui bisogna essere lucidi”. Anche se poi non è proprio lucidità quella espressa nel pezzo, anzi un desiderio di fuga tanto netto quanto è scoppiettante il pop utilizzato per esprimerlo.

Si ritorna al pianoforte e ai sentimenti più malinconici e profondi con Solo. Una solitudine espressa anche attraverso le linee melodiche essenziali, per dare di nuovo risalto a voce e sentimenti. La pioggia cade, alla fine della canzone, per accentuare il sentimento di isolamento.

L’olio del motore e i fiati sono al centro della storia semplice raccontata da Il commerciante, che parla di fatti quotidiani e di offerte speciali, sempre con gentilezza e con un sorriso. E allora faccio così è una storia di rinascita, il racconto di un impulso, declinato in suoni rock-pop, a lasciarsi alle spalle la “puzza di vecchio”.

Ma non si può che chiudere con nostalgia, in Quello che mi manca di te, tra gambe bellissime e mancanza di tempo. E non c’è rabbia qui, c’è tantissimo sentimento, dolce e tenero, con urla che sono soltanto promesse e non mantenute. Quasi una ninna nanna, un congedo doloroso ma necessario. Il finale è a piena orchestra, che accompagna un’emozione che se ne dovrebbe andare ma forse non riesce a trovare l’uscita.

Bastava pochissimo, a Diodato, per mettere il piede in fallo. Con un disco come questo, costruito prima sui sentimenti poi su tutto il resto, ma affrontato con i mezzi della canzone tradizionale, quella scritta al pianoforte, mettendo il cuore fra i tasti.

Be’ in quanti ci hanno provato e ci sono riusciti prima di lui? Ma Diodato riesce a uscire dalla contabilità del già visto mettendo i propri spunti e la propria fantasia al servizio delle canzoni che scrive, ottenendo un album che per quanto possa essere tradizionale, riesce a sorprendere e uscire dai canoni.

Rispettando la propria storia e quella della canzone d’autore, il cantautore pugliese decide di inserirsi a pieno titolo nei nomi importanti del cantautorato italiano contemporaneo, con questo lavoro. A prescindere da fidanzamenti passati o eventuali e perfino dalle performance di fronte a platee importanti, all’interno di kermesse liguri recenti.

Genere: cantautore

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