Si autodefiniscono “un gruppo di musica kraut/noise/elettronica da La Spezia”: i Fernweh pubblicano il proprio album omonimo e subito lo presentano in un tour all’estero, fino a inizio agosto.

L’album è prodotto, registrato e mixato dalla band ed è stato masterizzato da David Campanini al Soniclab Studio di La Spezia. Abbiamo rivolto qualche domanda al gruppo, che ha alle spalle anche la composizione di musiche per installazioni audiovisive in musei.

Partirei dal chiedervi di presentarvi: chi siete e che cosa significa Fernweh?

Siamo Emiliano Bagnato (chitarre e sintetizzatori), Lorenzo Cosci (batteria e percussioni) e Daniel Leix Palumbo (sintetizzatori e tastiere). Il nostro progetto è nato a La Spezia più o meno 3 anni fa quando abbiamo collaborato insieme alla composizione delle musiche per l’installazione video Homage to Maya del filmmaker e direttore artistico Paolo Ranieri (Karmachina, Studio azzurro, N!03) e di Martina Rocchi.

Da quel progetto ha preso successivamente forma una live performance audiovisiva dedicata al cinema di Maya Deren, che abbiamo presentato in diversi festival in Italia e all’estero (per info https://homagetomaya.portfoliobox.net).

Dopo l’esperienza positiva abbiamo deciso di portare avanti la nostra collaborazione fondando i Fernweh, un progetto che si dedicasse al sound design e alla scrittura di musica per video e installazioni, ma che in contemporanea portasse avanti anche un percorso da “vera e propria“ band.

Fernweh è una parola tedesca traducibile letteralmente come “nostalgia dell’altrove“, nostalgia dei luoghi dove non si è mai stati: il desiderio di lasciare casa, luogo di certezze e protezione, in favore del viaggio, indipendentemente dalla meta. Noi abbiamo voluto declinare il significato di questa parola al modo a noi più congeniale di creare musica, ovvero all’improvvisazione: partire da un punto condiviso e stabilito per poi creare un percorso musicale estemporaneo, nel quale ogni input proposto da uno di noi tre musicisti rappresenta un nuovo percorso ed una nuova direzione da seguire.

“Denunciate” influenze di kraut e di noise nella vostra musica. Quali sono i vostri “numi tutelari”?

Le influenze sono davvero tante. Il kraut è sicuramente una di queste specialmente nell’aver rappresentato, all’epoca, l’incontro di stili differenti e, cosa fondamentale, contemporanei: l’elettronica, l’avanguardia, il jazz nella sua declinazione più free. Ci ritroviamo molto in questo e, semplicemente, utilizziamo le tecnologie — e quindi il linguaggio — che abbiamo a disposizione oggi. In questo senso non abbiamo veri e propri numi tutelari — ne abbiamo molti e non ne abbiamo nessuno —; siamo molto curiosi nei confronti di ciò che accade, musicalmente e artisticamente, intorno a noi, nel contemporaneo. Non siamo nostalgici, guardiamo con molto rispetto il passato e lo conosciamo bene ma è più questa “nostalgia dell’altrove” di cui abbiamo già parlato, a guidarci.

Presenterete il disco in un tour estero: dove? Come nasce l’idea di fare i profeti lontano da casa?

II tour comprenderà, in ordine, Slovenia (prima data del tour a Lubiana), Austria e Germania, anche se sono possibili aggiornamenti dell’ultima ora, data la presenza ancora di un paio di “day off“ nel nostro tragitto.

Sin dall’inizio abbiamo riconosciuto nella nostra musica un forte taglio internazionale che la rende a nostro parere adatta per essere proposta in ambito underground in Italia ma soprattutto all’estero. La conferma è arrivata dalle nostre recenti esperienze in Germania, dove (prima al Coffi Festival 2017 di Berlino e poi alla Luminale 2018 di Francoforte) abbiamo notato un’ottima risposta da parte del pubblico.

In generale poi, soprattutto durante il lavoro svolto negli ultimi mesi per promuovere il disco, è stata evidente fuori dall’Italia una maggior apertura e interesse nell’accogliere la nostra proposta artistica, da qui è venuta anche la decisione di debuttare con un tour all’estero. Detto questo, non abbiamo assolutamente deciso di escludere l’Italia dal nostro “panorama“ e stiamo già lavorando per poter proporre il nostro album anche in alcune date a “casa“. Di queste date possiamo annunciarne una, in quanto già confermata: il 4 agosto a Monteggiori in apertura a Tobjah.

Come nasce l’unica traccia che ha un vero e proprio cantato, la conclusiva “Jennifer”?

“Jennifer“ è una nostra rivisitazione dell’omonimo brano contenuto nell’album Faust IV dello storico gruppo tedesco di krautrock Faust. Un omaggio ai quei “numi tutelari” di cui si è parlato precedentemente.

Avete lavorato alla sonorizzazione di installazioni per musei: quanto è differente come tipo di composizione rispetto a fare musica “per voi”?

Le differenze sono sostanziali. Quando lavoriamo alla sonorizzazione di un video o di un’installazione per prima cosa parliamo molto; ci confrontiamo su ciò che il contenuto visivo ci evoca e su come possiamo trovare una corrispondenza — o una giustapposizione — sonora.

I parametri musicali sono melodia, armonia, ritmo e timbro; ognuno di essi si crea e si muove in analogia con il video: il ritmo può essere suggerito dall’evoluzione nel tempo di un’animazione grafica o dalla cadenza dei tagli del montaggio; melodia e armonia possono riflettere l’umore dello scenario o, se vi è, della narrazione; il timbro riflettere la tonalità cromatica oppure i materiali visibili nel video (il ghiaccio “suona” in maniera radicalmente differente dal metallo).

È un lavoro, dunque, molto strutturato e meditato. Al contrario, quando componiamo “per noi” amiamo improvvisare, spesso senza nemmeno darci suggestioni. La musica fluisce e si struttura nell’ascolto e nell’incontro — o scontro — delle nostre proposte; è il tempo, poi, a limare questa forma grezza e a conservare le idee migliori, strutturabili, ripetibili.

Fernweh traccia per traccia

fernwehLa prima traccia è Drift, che parte da un movimento sotterraneo continuo e insistente, seguito da una sorta di decollo cosmico. Si tratta, come si capirà poi, di una lunga preparazione a un’epifania, condotta soprattutto dal drumming.

Ecco poi Ninja, traccia molto meno aperta e molto più articolata della precedente, con schermaglie elettroniche continue e una ritmica pulsante ma anche morbosa.

Si passa poi alla traccia omonima Fernweh, che mescola voci recitanti e lingue differenti, in una sorta di Babele inquieta e nevrotica.

Con Drift 2 si torna a ipotesi sognanti e influssi più vicini genericamente al post rock comunemente inteso, con ansie serpeggianti in molti modi diversi.

Si chiude con Jennifer, l’unica dotata di un vero e proprio cantato, corale e soffuso, per un brano morbido ma con molte variabili possibili. Finale a salire.

Flusso quasi continuo e disco molto ben fatto per Fernweh, che coniuga in maniera personale le istanze noise e kraut che di volta in volta emergono. Ne esce un disco dalle sfaccettature interessanti e variegate.

Genere: post rock

Se ti piacciono i Fernweh assaggia anche: June 1974

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