Florence+The Machine, “High as Hope”: recensione e streaming #TRAKSTRANGERS

Genere: cantautrice, pop, rock
Sguardo giudicante, braccia conserte e fiori un po’ svenuti, Florence Leontine Mary Welch aka Florence+The Machine ci squadra dalla copertina di High As Hope, il nuovo album uscito pochi giorni fa. L’album è stato anticipato dai brani Sky full of song, dal singolo Hunger e da Big God accompagnato dal video diretto da Autumn De Wilde, con le coreografie di Florence e Akram Khan.
Il quarto album di Florence + the Machine segna un ritorno verso le sue radici. Florence ha iniziato a scrivere questo disco (che è anche il primo che lei ha ufficialmente coprodotto) da sola nel Sud di Londra, pedalando ogni giorno verso lo studio di Peckham.
A Los Angeles con il suo amico e coproduttore Emile Haynie, ha ultimato le tracce con le collaborazioni di Kamasi Washington, Sampha, Tobias Jesso Jr, Kelsey Lu e Jamie xx, mentre il batterista Christopher Hayden ha confermato di aver lasciato la band. Florence ha poi mixato il disco a New York dove la quotidiana e rassicurante vista dell’iconico skyline, spesso in contrasto con il caos del mondo, ha ispirato il titolo del disco.
In High as Hope Florence racconta della sua adoloscenza e dei suoi vent’anni in una rinnovata prospettiva, più matura: crescere nel sud di Londra, la famiglia, i rapporti, l’arte, se stessa. “C’è molto amore in questo disco, anche solitudine, ma più amore”.
Florence+The Machine traccia per traccia
June apre il disco e giustifica l’uscita estiva con una ballata a braccia aperte, malinconica e classica abbastanza da annunciare il mood e i modi del disco. Si finisce con una sorta di glorificazione vocale, costruita a salire.
Si acquista passo e modi più spicci per Hunger, che urla abbastanza da convincere della propria convinzione. South London Forever sale un po’ alla volta e aggiunge gli archi, costruendo un panorama sonoro articolato. Florence butta un’occhiata sulla città, anche se si inizia parlando di luoghi e si finisce parlando di persone (“And everything I ever did/Was just another way to scream your name“).
Big God è un’esclamazione aiutata dal pianoforte e da sonorità minimali che fanno di tutto per mettere in evidenza la voce, riuscendoci perfettamente. Sky Full of Song parte con un cantato a cappella e aggiunge pochi elementi selezionati, strada facendo. Ma le caratteristiche soul-gospel del brano non si perdono.
Pianoforte e qualche pagina strappata da un vecchio songbook americano nella partenza di Grace, che poi esce dal jazz club per celebrare una sorta di piccola epifania con cori.
Un senso di passione inquieta permea Patricia, che anche in questo caso attraversa fasi diverse e anche molto rumorose: il modo migliore di combattere la solitudine è evidentemente organizzare cori festosi.
Si va per qualche momento sull’intimo con 100 years, prima dell’emergere di un battito ancor più potente, in quanto organizzato sul vuoto. La canzone è però in trasformazione continua (e fa della trasformazione dell’odio in luce una ragione di esistenza: “Try and fill us with your hate and we will shine a light“) e ha una coda con tratti selvaggi, con un vero pezzo di bravura vocale sul finale.
Drammatica e classica, The End of Love è una “canzone” a tutto tondo, canonica ma in grado di raggiungere un’intensità spettacolare. Si chiude con No Choir, che presumibilmente ironizza anche un po’ sulla presenza del coro (per lo più sintetico) in tutti gli altri brani del disco: qui, dove il coro manca, esce una canzone finale malinconica e dolce ma anche con tratti piuttosto torrenziali.
Probabilmente manca un piccolo salto a questo disco di Florence+The Machine: perfetto, ricco di canzoni rotonde, consistenti e con tutti gli elementi al posto giusto, ti fa chiedere quando e dove si spalanchi la bocca per la meraviglia.
Se si dice questo, tuttavia, è per le aspettative sempre più alte che la ragazza inglese+la sua band hanno finito per generare. Ma a volte ci si può anche “accontentare” di un disco semplicemente eccellente senza essere troppo sorprendente.