Gettoni è il nuovo disco di Giostre: un album synth pop mutevole e psichedelico che cerca di unire il cantautorato punk alla synthwave anni ’80 e alla techno anni ’90. L’intento, a quanto ci dicono, è di avere due livelli comunicativi: uno più immediato e uno più articolato per chi volesse rovistare tra i vari patchwork stilistici.

“Si parla di disagio sociale e di suicidio in forme spettacolari, come mostra la copertina – racconta Jacopo Gobber, fondatore del progetto –. Per i testi, l’ispirazione purtroppo l’ho avuta principalmente dalla diagnosi di una malattia neurologica a mia madre che di punto in bianco mi ha messo davanti a varie problematiche: come per esempio la burocrazia per richiedere l’invalidità all’INPS. È questo genere di cose antipatiche che ho provato a trasferire, cercando di renderle più divertenti di quello che sono nella realtà. In più mi piaceva l’idea del contrasto tra la musica molto colorata e i testi cupi, ironici e grotteschi, e che ci fosse tanto movimento e versatilità nelle sonorità ma che le liriche invece ruotassero più o meno sempre attorno alle stesse frustrazioni”.

Giostre traccia per traccia

“Ma questo giro/decido io/sulla giostra/non c’è Dio”: Giostre parte bello fitto, con un po’ di techno e qualche divagazione tropicale su Turandot, vivace quadretto un po’ allucinato che apre il disco (la citazione lirica, peraltro, è effettiva e contenuta in un “tramontate stelle” senza “all’alba vincerò”).

Beach in bici rallenta un attimo ma affolla il testo di citazioni, concetti, particolarità, in un caravanserraglio un po’ Beck e un po’ Renato Zero. “Tiro avanti a risi e bisi”: seriamente?

Tematiche social animano Seguimi, ritmata e piuttosto critica, con un po’ di scoramento che traspare dal fondo.

L’inutilità dell’approfondimento musicale (o presunta tale) emerge in pieno dal testo di Garage Band. “Tutti rockstar con Garage Band/la tua carriera finisce al Sert”: a proposito di scoraggiamento, eccone servita un’altra dose piuttosto corposa.

Parte da una citazione decisamente d’antan Buco nero, feat. Charlotte Cardinale, che però svolta subito verso un dark humour che forse non è neanche tanto umoristico.

In coda alle Poste esprime, non senza una certa ossessività, lo scarso gradimento per gli incolonnamenti. Il brano punk del disco, almeno quanto a sentimenti espressi.

Voce filtrata e umore un filo appesantito per Cassa integrazione, che poi esplode di beat techno e folli, per celebrare l’ammortizzatore sociale fino all’arrivo della pensione. E ti immagini gente di mezza età che festeggia in pista.

Piazza Italia celebra (?) le sagre di paese e quell’Italia di provincia che è maggioritaria da sempre e forse per sempre. Anche qui il brano si apre, cercando la normalità (attraverso un bagno pubblico in centro a Verona).

Benché il movente del disco, come spiegato da Jacopo/Giostre, sia tutt’altro che allegro, è impossibile non sorridere all’umorismo noir di gran parte delle canzoni del disco. Che però sono costruite bene, in modo originale, che usano synth e ritmi techno come armi contundenti, facendoli viaggiare accanto a citazioni 80s, orpelli sonori e un mood terribilmente depresso, ma irresistibile.

Genere: synth pop

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