Tre sono gli anni passati da Common Grounds, tre sono i brani di Collapse e tre sono anche i membri degli In June, che nel numero perfetto evidentemente trovano una chiave importante. Un nuovo ep e anche un sound più compatto e crudo per la band romana, che già da un po’ sta sollevando qualche sopracciglio per la qualità di ciò che pubblica.
I temi trattati nell’ep sono una metafora del “collasso” sia interno e personale, sia del mondo che ci circonda. Accompagnati da tre lyric video girati da Chiara Ceccaioni, le canzoni esplodono, rallentano, ripartono, alla ricerca di risposte che è impossibile ottenere.
In June traccia per traccia
Un battito che arriva da lontano quello di work in progress, apertura dell’ep nonché singolo introduttivo di questo lavoro. Un treno che arriva un po’ per volta e che si fa travolgente, in un brano che vive di molti strati sonori sovrapposti e di una vitalità considerevole.
C’è una chitarra che spacca in due look, brano che procede per ondate successive e che mette in mostra un sound totalmente internazionale, con fantasmi di indie rock che si agitano sullo sfondo. “So messed up/trying to fix everyone else“: sei così incasinato eppure cerchi di sistemare tutti gli altri. Non è una condizione assolutamente comune nella quotidianità?
Più lente e più profonde le risonanze di pointy ends, che gira a loop sui propri dolori: “pain of the world is not on my back/pain of the world is all on my back“: l’alternanza riguardante tutto il dolore del mondo è il contrasto sul quale gira tutto il brano e sul quale si consuma il suo finale epico.
Corre via veloce l’ep, ma le tre canzoni nuove degli In June graffiano abbastanza da lasciare il segno: un lavoro piccolo e compatto come un pugno che colpisce in fretta e si ritira altrettanto in fretta. Ma sono pugni che fanno molto bene.