Intervista: Fabrizio Galassi, la pulsione comunicativa alla base di tutto
Ho conosciuto Fabrizio Galassi nei gloriosi (?) anni in cui la carta stampata dominava ancora in ambito musicale, eppure noi già lì, a marognare su internet, per la precisione sul sito di “Rockstar”, a cercare di riempire uno spazio di cui ancora non si sapeva bene che fare. Lui, a dire il vero, lo sapeva, ed era quello che faceva andare avanti la baracca, mentre io ero dedito a una rubrica fissa e a qualche cazzeggio sparso.
In un modo o nell’altro, da internet non siamo più riusciti a uscire: oggi Fabrizio, oltre che giornalista, è anche docente (alla Sapienza e allo IED, tra l’altro) e consulente nuovi media e web journalism.
Ma è anche il blogger dietro MusicaBuzz, in cui si occupa di musica, questo è evidente, anche se considerandola da prospettive non proprio usuali: dai consigli ai musicisti ai dati del mercato e soprattutto le temute classifiche dei siti musicali più influenti, nelle quali per un palese e ripetuto errore continua a non apparire TraKs.
Incerto se fargli causa o fargli un’intervista e cercare di corromperlo, ho scelto la seconda strada, ma con risultati alterni.
Insomma, neanche allungando la cinquanta euro si riesce a entrare nelle classifiche…
No guarda, c’è un limite di visite minimo purtroppo… Ma se mettessi online un sex tape probabilmente faresti il boom di visite e a quel punto potrei prenderti in considerazione. Comunque il modello delle classifiche funziona, mi hanno chiesto di replicare il discorso anche per le radio, ma è complicato avere dati oggettivi.
Be’ la classifica è sempre una mappa per orientarsi, soprattutto in un mare movimentato come quello di internet
Sì, poi riservano sempre sorprese: per esempio i due siti musicali più letti d’Italia sono molto diversi tra loro. Parlo di Rockit, che è un po’ più spregiudicato, targettizzato sull’Italia, con notizie ma anche molte opinioni. Invece Rockol è un po’ il “Corriere della Sera” della musica: non dico che sia filogovernativo, ma non esprime quasi mai giudizi. Tutto questo conferma che prendersi una fetta ben precisa di pubblico paga: prendi Metalitalia.com che fa numeri pazzeschi parlando di metal.
E’ vero che la nicchia del metal è sempre stata sostanziosa, anche in tempi di carta stampata
Ma sì, anche perché invece quando parli di indie rock o musica alternativa non riesci a farne un fascio netto, una distinzione chiara.
Quindi ha ragione Cesare Basile quando dice che la musica indipendente non esiste…
Tecnicamente ha dei suoi stilemi ben precisi, ma non è proprio un genere. E’ una specie di filosofia: l’etichetta piccola non mi garantisce l’anticipo, ma mi paga le registrazioni e una percentuale maggiore rispetto a una major. Non ha la stessa forza promozionale di una major ma ha un team dedicato.
E’ una filosofia: dire che non esiste ha le sue buone ragioni, ma forse ormai non esiste perché fanno tutti così. Adesso l’etichetta che ragiona meglio da indipendente è forse la Woodworm (che ha pubblicato i dischi di Appino, Dente, FASK, Bachi da Pietra, Giovanni Lindo Ferretti, Julie’s Haircut, Scisma e altri, NdR).
Libertà creativa, appoggio all’artista, prendi per esempio il video di Superman di Giovanni Truppi: con Francesco Lettieri, che al momento è “il” regista più innovativo di video in Italia hanno avuto libertà perché era la Woodworm, se fosse stato Universal un video del genere non sarebbe mai uscito (per capire di che cosa stiamo parlando, il video è questo, realizzato da Lettieri con Alessio Lauria, NdR). Gli avrebbero fatto fare un video in cui si vedeva Truppi che incontrava una ragazza e…
E veniva fuori un video delle Vibrazioni.
E veniva fuori un video delle Vibrazioni.
Fabrizio Galassi: la fiamma che ti tiene sveglio
Allora facciamo un esempio: io sono un musicista indipendente che…
No, ecco: non esiste il musicista indipendente. Esiste l’etichetta, ma il musicista è comunque indipendente. Forse è questo che diceva Basile.
Ok, allora facciamo così: sono un musicista che aderisce alla “filosofia” indipendente e che si tiene lontano, concettualmente e fisicamente, dalle major. Quali sono gli errori che devo assolutamente evitare?
Quello di pensare di fare questo lavoro! Non è che non si può fare: è che la musica che deve essere riportata al concetto di avere una pulsione comunicativa. Fare musica è un po’ come fare fotografia digitale. Vai in negozio, ti compri la compatta, poi ti compri la reflex e fai le foto in bianco e nero. Ma ci sono un miliardo di fotografi che fanno foto benino ma niente di che, perché non studiano o non hanno talento.
Stessa cosa con i musicisti: chi vuole fare musica davvero deve sentire dentro questa fiamma che ti tiene sveglio di notte per finire la canzone, che ti fa alzare presto la mattina per lavorare 12 ore al giorno, suonare in tutti i posti e a qualunque orario. Farti il culo. Questa è la base. Io mi occupo di digital marketing, ma sono il primo a dire che non puoi vivere solo di digitale, il digitale è la conseguenza di quello che tu fai nella vita reale.
Di solito invece si fa così: si fonda una band, si registra il demo e lo si manda a etichette e radio. Poi questi non mi chiamano e sono degli stronzi. Questo è il classico errore generale che fanno tutti, invece dovrebbe essere il contrario: ho la pulsione, fondo la band, suono ovunque anche gratis, tanto poi se suoni bene finisce che ti pagano. Dopo un anno e mezzo puoi pensare al demo.
Quindi ci vuole proprio l’urgenza di suonare prima di tutto…
Chi mi ha molto sorpreso sono Cecco e Cipo: suonano da tantissimo tempo, ma di recente sono stati chiamati da X Factor, la trasmissione ha dato loro i cinque minuti che servivano per accendere la miccia della popolarità e loro hanno concretizzato un lavoro di anni, e hanno fatto un tour incredibile quest’estate.
Una cosa che il pubblico dà per scontata ma che il musicista non dovrebbe è la differenza tra la celebrità e la popolarità. La celebrità è il talent show, la gente che ti riconosce per strada, il posto riservato al ristorante. I Dear Jack, per capirsi. Tutto bello, ma ha una data di scadenza, ossia il prossimo vincitore di “Amici”, cioè The Kolors, che a loro volta hanno una data di scadenza. Il singolo è carino, ma l’album non abbastanza per sorreggerli.
Capisco che la celebrità possa essere attraente per un musicista, ma non paga le bollette alla fine: ti fanno contratti capestro, con percentuali bassissime. La via della popolarità significa invece essere popolare per un certo numero di persone, che aumenta lentamente. Ogni giro di concerti che fai aumenta il numero di cd e magliette vendute, incrementa le visite su YouTube, puoi fare edizioni Deluxe del tuo cd e venderle con Bandcamp.
La popolarità non è la foto con i fans per strada, ma è il locale pieno con mille persone. L’esempio massimo è lo Stato Sociale: non hanno il supporto delle tv, i giornalisti li odiano perché nessuno può dire veramente “li ho scoperti io”, però adesso suonano al Palazzetto dello Sport di Bologna. Poi hanno il loro modo di fare, sono apprezzabili e hanno la sicurezza di poter fare quello che vogliono senza dover dire grazie a nessuno.
Gli errori che vedi più comunemente delle etichette indipendenti?
Atteggiarsi a etichetta “grande”. Pensare di essere in un mercato ricco e fare il passo più lungo della gamba.
Ma tu sei a favore dell’etichetta specializzata, della generalista o di tutte e due?
L’etichetta specializzata ha dalla sua parte la possibilità di farsi una credibilità in una nicchia e farsi un nome, diventando un punto di riferimento. In attesa che la musica di nicchia che fai diventi di moda. Le etichette generaliste a 360° non esiste, ma un’etichetta pop generalista manca. Una XL Recordings italiana, cioè una label che abbia dai Gorillaz ad Adele, manca.
C’è la Sugar, ma da come si muove, con il parco artisti e il fatturato che ha, la gestione è più aziendale, mentre l’etichetta piccola e indipendente si muove meglio perché ha pochi artisti a cui badare. Entrambe le cose sono buone: l’etichetta specializzata però può avere più possibilità.
E dei talent che mi dici?
Lo vedo come spettacolo televisivo, la musica c’entra fino a un certo punto. Trovo noiosa l’ultima stagione di X Factor perché mi manca Morgan, mi manca il suo punto di vista critico. La cosa terribile è che la discografia si adagia: i talent scout delle etichette accendono la televisione, consigliano di andare a fare le audizioni. Capisco il loro lavoro: con niente hanno un vettore promozionale. E’ vero che sono pochi, sotto organico, non pagati tantissimo. Del resto le major come esistevano tempo fa non esistono più e lavorano soltanto di edizioni.