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Ventisei anni, medico, ma anche cantautore, con evidenti radici internazionali: Francesco Zucchi ha scritto, inciso e prodotto My Way Home, il suo primo disco, pubblicato da 523Records. Puoi ascoltarlo qui sotto, e puoi leggere le sue risposte alla nostra intervista appena più sotto.

Puoi raccontare la tua storia fin qui?

Quando leggi la bio di un artista straniero di-quelli-storici, quasi sempre la sua storia inizia con la chitarra dei genitori e quella volta che ha sentito Heartbreak Hotel di Elvis per la prima volta alla radio: direi che calza anche per me. Solo che a me è successo nel 2006 e non cinquant’anni prima (per fortuna, dato che le valvole delle radio dovevan essere una menata da gestire).

 Il mio primo  indimenticabile gruppo sono stati i SenderSet: band rock/funk/blues/rnb nata al liceo, naufragata nei doveri (?) della vita universitaria di Pavia. Enorme salto di genere la formazione del Linda Sutti Trio nel 2011 forse, assieme appunto a Linda e ad Alberto Dabusti: suonavamo i brani scritti da lei (splendida cantautrice e splendida voce, provare per credere) in versione acustica.

Io fungevo da chitarra e da seconda voce. Col trio abbiamo avuto diverse esperienze interessanti: abbiam registrato un ep in casa su un vecchio registratore a bobine, abbiam suonato per diversi festival e in tantissimi locali…finchè Linda non ha preso il volo verso la Germania, sotto la sapiente produzione di Henrik Freischlader.

Dopo una pausa di riflessione (leggasi, la laurea ha deglutito intere le mie giornate) tra novembre ’14 e febbraio ’15 ho registrato il mio “My Way Home” presso i Dancetool Studio di Piacenza, per la 523 records di Andrea Rocca. Da allora ho suonato tanto, e scritto tanto: non credo rimarrà il mio unico lavoro musicale (….spero). Mentre rispondo a queste domande sono sulla mia scrivania grossomodo sepolto da nuovi testi che sto cercando di riordinare.

Che cosa ti porta, tu medico, a imbracciare la chitarra e a spostarti anche molto lontano da casa per portare in giro le tue canzoni?

La risposta completa la domanda precedente. Quando sentivo pressante la necessità di dare un altro significato al suonare in sé dopo un periodo di naufragio musicale, nel tentativo di registrato un demo di brani propri da proporre ai vari locali, sono inciampato in un paio di persone che si sono interessate al mio “lavoro” e ne è nato il disco di cui stiamo parlando. Ne è derivata un’enorme nuova ondata di entusiasmo, che mi sta dando l’ energia per mettermi in gioco ogni volta.

Ho suonato di recente a un festival in Polonia (OpoleSongwritersFestival), al VinilMania di Milano, al prestigioso concorso “ArtistaCheNonC’era” al CPM di Milano: non a tutti piace quel che suono, ovviamente, ma anche le reazioni negative se arrivano nei confronti di qualcosa che nasce da te, hanno una profondità differente. Centrando al cuore la domanda iniziale, perchè suono? Perchè non c’è miglior mezzo per entrare in contatto emotivo con altre persone.

Quali sono i tuoi punti di riferimenti musicali?
Hai un’ oretta? Per limitarmi nel numero te ne dico…5. Eric Clapton, John Mayer, Jason Mraz, Glen Hansard, Sara Bareilles.
Francesco Zucchi, troppe sensazioni insieme

francesco zucchi

Come nasce la title track, “My Way Home”?

Nasce dalla mia esperienza sul Cammino Di Santiago, che ho percorso non per intero e con approccio ateo (quale sono) un paio di estati fa. Troppe sensazione insieme, troppe belle persone incontrate, troppe lingue parlate/sentite in 10 giorni…e troppi km a piedi of course.

Ho cercato appena tornato di condensare in una canzone quel che avevo provato, per condividerlo e sopratutto per cercare di non dimenticarlo io stesso.

Puoi raccontare la strumentazione principale che hai utilizzato per suonare in questo disco?

Primariamente la mia chitarra acustica e la mia voce: abbiamo cercato di mantenere un sound fedele al reale, non condannando per esempio gli errori umani che necessariamente si accumulano. In seconda istanza abbiamo cercato di condire il tutto con cori, shaker, battiti di mani e qualche piccolo apporto digitale. Parlando per esempio della traccia conclusiva “My Knees and My Face” registrata live in studio in compagnia del violoncello di Giulia Lanati, quel che si sente sul disco è esattamente quello che abbiamo suonato guardandoci in faccia.

Chi è l’artista indipendente italiano che stimi di più in questo momento e perché?
Non è facile, ma ti dico Diego Monfredini: non è un musicista, ma un fotografo/film maker ed è semplicemente dannatamente bravo. Ed è l’emblema dell’artista indipendente!  Ho avuto la fortuna di lavorare con lui (artwork del mio album e un paio di video che trovate online, link sulla mia pagina facebook) e mi ha stupito ogni volta.

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