Originali ed elettronici, ma non senza ironia: i Lebowski hanno effettuato qualche cambiamento, con il risultato di avere per le mani un disco, Disadottati, convincente dalla prima all’ultima traccia (qui la recensione). Ecco la nostra intervista.

Per questo terzo disco avete effettuato qualche cambiamento, per esempio la produzione: perché avete adottato queste scelte?

Se fai riferimento all’autoproduzione dell’album, la scelta è maturata nella volontà di portare avanti la filosofia D.I.Y. in modo ancora più radicale: crediamo molto in questo lavoro e abbiamo deciso di investirci ancora di più rispetto al passato.

Dal punto di vista tecnico invece, senza nulla togliere a Giulio Favero con cui in passato ci siamo trovati benissimo, stavolta abbiamo scelto David Lenci per la vicinanza geografica: è una fortuna avere un sound engineer di così grande esperienza e qualità a due passi da casa.

Il disco è sostanzialmente un concept sull’economia, domestica o “macro”: potete spiegare quali sono i moventi di una scelta del genere?

Nei nostri brani c’è sempre stato un riferimento alla società in cui viviamo e d’altra parte la società in cui viviamo è fortemente influenzata da fattori di natura economica, quindi in un certo senso non è sbagliato dire che si tratti di un concept sull’economia, anche se in maniera indiretta. L’idea era quella di descrivere una tipologia di persone, quella che noi abbiamo definito ”Disadottati’, ovvero persone alle quali la società ha prima inculcato un modello di vita e poi voltato le spalle.

Dal punto di vista sonoro, dichiarate che il lavoro è nato dall’improvvisazione, eppure le sovrastrutture elettroniche non offrono un’idea di spontaneità: anche qui, da dove nascono queste scelte? Dal vivo seguirete le linee del disco o “asciugherete” un po’ il tutto?

Questo è il primo disco concepito interamente da cinque musicisti in sala prove. In “Propaganda” la scrittura dei brani era avvenuta quasi completamente in quattro; solo successivamente Nico, al suo arrivo nella band, aveva completato gli arrangiamenti, ma le strutture erano già piuttosto definite.

Qui la scrittura è stata compartecipata sin dall’inizio, partendo appunto da lunghe improvvisazioni; di queste improvvisazioni puoi trovare traccia in brani come “Una vita disarmata”, “Signor Costa”, “Rent to buy”,“El Salvador offshore”. E’ anche vero che in altri episodi invece è stato del tutto naturale operare una sintesi per rendere la musica più funzionale alla “canzone”. Se i due intenti compositivi si trovino in equilibrio nel disco non sta a noi giudicarlo.

Il live senza dubbio lascia emergere maggiormente la nostra attitudine post-punk, per cui, pur mantenendoci piuttosto fedeli all’elettronica di “Disadottati”, stiamo lavorando per sottrazione di dettagli in nome di un maggior impatto. Ciò nonostante, la strumentazione che utilizziamo dal vivo è assai variegata, ingombrante e impegnativa da gestire, conseguenza di un’inappagabile sete di massimalismo negli arrangiamenti. Ed è quindi imprescindibile per noi avere un fonico che gestisca al meglio i suoni dall’esterno, come sta facendo egregiamente Alessandro Fiordelmondo, praticamente il sesto Lebowski.

Il citazionismo cronico dei Lebowski

Come nasce “Il cielo è sempre meno blu”?

In realtà è venuta fuori da sé più o meno come gli altri pezzi. Quasi tutti i nostri brani sono disseminati di riferimenti a canzoni o film, siamo dei citazionisti cronici. In questo caso il riferimento è oltremodo esplicito, anche se la dimensione descritta è riferita principalmente a un nucleo familiare più che alla società in maniera ampia come nella celebre canzone.

Il brano è un parallelo tra padre e figlio che si confrontano sul tema del lavoro, del gioco d’azzardo e sul cielo al di sopra di loro che il padre vede sempre più oscuro e che anche il figlio inizia a non vedere più blu come una volta, naturalmente il cielo è una metafora, ma il rimando alla canzone di Gaetano era quasi inevitabile. Rino Gaetano ci piace perché riusciva a cantare canzoni tristi in maniera divertente, e la stessa cosa cerchiamo di fare noi, perché in fondo cosa sono l’ironia e il sarcasmo se non un’alternativa a una passiva accettazione della realtà?

Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?

In linea di massima siamo partiti per quasi tutti i brani dal classico, cioè chitarra, basso e batteria. La stratificazione con sintetizzatori è venuta di conseguenza ed è sempre piuttosto presente in tutto l’album al contrario dei poli-ritmi di drum machine, che, rispetto a “Propaganda”, abbiamo inserito con maggior parsimonia. Stesso discorso per gli interventi di sax, che abbiamo qui limitato a un solo brano. Infine, per la manipolazione sonora del timbro degli strumenti abbiamo utilizzato effetti a pedale analogici, quindi nessun impiego di software e maggiore fedeltà al suono live.

Chi è l’artista indipendente italiano che stimate di più in questo momento e perché?

In giro per lo Stivale c’è tanta bella roba ed è difficile dire chi sia il nostro preferito, anche perché ovviamente ognuno di noi cinque ha i suoi precisi gusti musicali, che certo si toccano con quelli degli altri, ma al tempo stesso differiscono anche di molto. Se però dovessimo scegliere un artista come emblema di un modo intelligente di approcciare alla musica, sceglieremmo probabilmente Bruno Dorella, per la capacita di attraversare generi diversi pur mantenendo sempre alta la qualità dei progetti in cui è coinvolto attualmente (Ronin, Bachi Da Pietra, OvO) ed è stato coinvolto in passato: qualcuno tra noi ha adorato i primi Wolfango.