10556944_350809081763795_1480463421413452482_oSembravano a un passo dallo scioglimento, anzi un passo oltre. E invece i Santo Barbaro ci hanno ripensato, hanno cambiato modus operandi, si sono chiusi in studio per tre giorni e ne sono usciti con Geografia di un corpo (qui la recensione). Li abbiamo intervistati.

Nel 2012 avevate deciso di chiudere il progetto Santo Barbaro: che cosa è intervenuto poi a farvi cambiare idea?

Io credo che siano i dischi a chiamare noi, e non viceversa, anche se non ho ancora capito se si tratti di una fortuna o una condanna. Mi sono trovato con una marea di provini dopo aver trascorso quasi un anno in totale silenzio.

I pezzi cominciavano ad ammassarsi e con essi l’urgenza di buttarli fuori. Fare dischi è una terapia di autoaiuto. Si fanno per non morire dentro.

Una band di nove elementi,  tre giorni di studio e la registrazione in presa diretta: che cosa vi ha spinto a questo tour de force?

Il pensiero di non voler tornare in studio e aspettare un anno prima di raccogliere i frutti. Navi è stata una esperienza sociale più che un disco: un anno intero passato in studio in due a lavorare su ogni particolare, limando ogni imperfezione.

Questa volta volevamo che tra l’idea e la sua realizzazione non ci fosse una forma di controllo mentale che abbellisse lo spunto originale e l’unico modo era suonare tutti insieme, senza pensare a cosa si stesse suonando.

Come avete selezionato quelli che sarebbero stati i vostri compagni di viaggio per i giorni della registrazione del disco?

Sono le persone che più stimiamo tra quelle che popolano la galassia musicale romagnola. Mi sarebbe dispiaciuto molto chiudere senza aver condiviso un palco con le persone che abbiamo coinvolto nel disco.

La cosa più bella è stata il loro riconoscimento, la loro accettazione senza porre condizioni, fidandosi di provini fatti in casa in cui si faticava a distinguere una linea vocale.

Nonostante il grande numero di musicisti mi sembra che alcune canzoni cerchino di far leva su elementi i più semplici possibile. Una scelta figlia della paura di strafare o c’è un discorso diverso alle spalle?

Che si suoni in due o in mille, la musica rimane materia sacra e, in quanto tale, va trattata con cura. Per noi rimane sempre valida la lezione di Mark Hollis e crediamo che il suono si basi molto più su ciò che manca piuttosto che sulle onde che si diffondono nell’aria.

Questo fa parte della nostra storia e i nuovi arrivati hanno capito immediatamente che il loro apporto era soprattutto quello di essere presenti come persone e come cuori pulsanti.

I generi sono completamente diversi e non c’è possibilità di sovrapposizione, ma come mai avete deciso di fare uscire quasi in contemporanea “Geografia di un corpo” e l’ultimo lavoro di Naddei come Francobeat, “Radici”?

In verità è stato un caso, o almeno così credo. O forse quando si apre un rubinetto e lo si lascia gocciolare, poi si riempiono i lavandini e con essi le stanze, gli edifici e i quartieri.

Aver cominciato a immaginare un nuovo disco per Santo Barbaro forse ha dato forza anche a Franco e viceversa. Non siamo mai stati grandi strateghi del marketing e registriamo i dischi quando non riusciamo più a trattenerli tra le mani. Quando ci vedrete pubblicare un album per un nostro anniversario, significherà che saremo morti.

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