Si chiamano Emerald Leaves e il loro esordio omonimo contiene “kraut pop psichedelico” , qualunque cosa possa significare (si scherza: qui la recensione dell’ottimo disco). Li abbiamo intervistati, ed ecco il risultato.
La vostra band è nata di recente, ma presi singolarmente non siete degli esordienti. Mi raccontate come siete arrivati fin qui?
Giacomo (chitarra) ha suonato su “Spare me/calf”, primo disco di Edible Woman, la band con cui suono da 10 anni, e scritto parte del secondo disco.
Si è perso un sacco di tour e di bei momenti decidendo di lasciare la band e io ho sempre pensato che fosse il musicista migliore che conosco, con un tocco e un gusto sopraffini, e che fosse un peccato che non suonassimo più insieme; essendoci trovati a vivere a Roma nello stesso periodo ad anni di distanza, è stato naturale rimettersi a scrivere insieme, anche se con risultati musicali molto diversi.
Alessandro (batteria) è arrivato in un secondo momento, anche lui è un bravissimo batterista che conosco da anni. Diciamo che è come se avessimo sempre voluto suonare insieme senza saperlo. Ci capiamo benissimo, abbiamo un gran feeling musicale tra di noi.
Com’è nata la collaborazione con Philippe Petit? Avevate progettato il disco così, arricchito dell’intervento di un dj, oppure si è trattato di una rielaborazione successiva?
Be’ più che un dj è un musicista, sperimentatore, improvvisatore, assolutamente da ascoltare, specialmente nel suo lavoro con Murcof e negli Strings of Consciousness (http://www.philippepetit.info).
Anche lui è una conoscenza di lunga data, conosciuto tramite Edible Woman, su questo disco è intervenuto una volta che i pezzi erano già registrati, ha aggiunto degli interventi sonici e noi li abbiamo mixati con il resto. Rimarrà un una tantum, non verrà a suonare con noi dal vivo, ma è stato una bella e complessa collaborazione artistica.
Di che cosa parlano i testi del disco? Si tratta di un concept, visto che apre con “Lonestar” e chiude con “King Lonestar”?
Il disco è legato contemporaneamente a un fantasticare di un’evasione spaziale, a una visione distaccata e “aerea” del mondo, a uno schierarsi aperto con la figura del migrante, di colui che viaggia e ibrida, attraversa i confini nazionali, si fa elemento di difficile assimilazione per l’identità nazionale.
Così nella vita così in musica amo le cose che non si fanno definire, gli artisti inquieti, soprattutto quelli che si tradiscono e tradiscono chi li segue, chi celebra l’incongruo.
A livello visivo, siamo ispirati da molto cinema, direi tanto John Boorman, Robert Wise, Lisandro Alonso, Werner Herzog… “Lonestar” è una specie di figura mitica, ma anche ironica, un viaggiatore nello spazio che porta il nome del protagonista di “Spaceballs” di Mel Brooks.
Trovo molto curiosa la scelta di pubblicare il disco in cassetta: com’è nata l’idea? Che vantaggi comporta rispetto, per esempio, al vinile?
Be’ è piccola e affettuosa e personalmente mi ricorda il periodo in cui era il formato che più acquistavo, perché il più economico. L’etichetta che ha pubblicato il disco, la belga Jus de Balles (https://www.facebook.com/jdbrbxl?ref=stream) pubblica solo cassette, di musica prevalentemente sperimentale.
E’ bello essere nel loro catalogo, noi siamo la cosa più pop che hanno pubblicato. Uscire per loro ci permetterà di suonare un po’ anche fuori dall’Italia, che è una cosa che ci interessa molto. In autunno gireremo, per ora abbiamo dei concerti in Italia per la fine dell’estate, non vediamo l’ora!