La band si chiama Sparkle in Grey, ma già chiamarla “band”, alla luce dell’ultimo disco, può sembrare un po’ strano. Il disco si chiama The Calendar ed è ispirato ai bestiari medievali, a calendari perpetui, a un’epoca piuttosto lontana da quella dell’apparizione delle “band”.

Ma se l’operazione è rilevante anche sotto il profilo “culturale” (ecco, ho detto una parolaccia) il disco si fa apprezzare in pieno grazie alle sonorità acustiche, alla sapiente miscelazione degli strumenti, all’intervento degli archi e a molte altre doti (qui la nostra recensione). Ecco l’intervista.

Un disco già un anno dopo “Thursday Evening”: che cosa è successo alla band durante quest’anno?
Alberto Carozzi: “The Calendar” era in lavorazione da molto tempo, e negli ultimi mesi gli abbiamo dato la sferzata decisiva per concluderlo. “Thursday Evening”, tra l’altro, pubblicato nel 2013, l’avevamo registrato l’anno prima. Quindi i ritmi più o meno si mantengono costanti, certamente non mancano né gli stimoli, né le idee, e anche su questo fronte, non è ancora tempo di pause.

Matteo Uggeri: sì, le lavorazioni dei nostri dischi procedono spesso in parallelo, tanto è vero che abbiamo registrato i pezzi del prossimo “Brahim Izdag” in parte due anni fa e in parte quest’estate. Siamo un po’ strani forse in quel senso!

Potreste raccontarmi la genesi dell’album?

Alberto: Sì, sono passati molti anni dalle prime bozze alla pubblicazione. Si era parlato di usare solo strumenti acustici (a eccezione dell’elettronica) quando abbiamo registrato i brani di “Whale Heart” e ci siamo resi conto che l’accostamento funzionava e il risultato era molto interessante.

Il disco si è sviluppato in maniera diversa rispetto a “Thursday Evening”, “Mexico”, o a “A Quiet Place”, dischi nati da improvvisazioni in sala prove. Calendar invece aveva delle linee guida, principalmente cose che proponevo io con la chitarra, a cui si sono poi aggiunti tutti gli altri strumenti, ma spesso molto successivamente.

Abbiamo anche coinvolto moltissimi ospiti, e più o meno in ogni brano c’è il contributo di un amico, un musicista che stimiamo, un compagno di qualche percorso particolare…

Quasi subito è nata l’idea di comporre una specie di calendario, un brano per ogni mese. Il tempo e lo spazio sono la nostra dimensione, quella che occupiamo, e che in un certo senso sanciscono l’esistenza di tutto. E i nostri dischi, finora, si sono riferiti all’uno, o all’altro.

Poi c’è la connotazione che si dà a questi concetti, e lì dipende sempre da quello che stiamo vivendo, quello che cattura la nostra attenzione.. e in “Calendar” come in “Thursday Evening” siamo stati parecchio espliciti; quest’ultima fase ha occupato gli ultimi mesi, in cui sono nati i soggetti, i protagonisti, le riflessioni… e i bellissimi disegni di Matteo!

Un lavoro lentissimo, e se ci avessimo messo di meno sarebbe stato molto diverso. Il tempo trascorso ha fatto la sua parte, come il vento sulle rocce.

Come dimostrato da “November” la voce umana si adatta molto bene alle vostre composizioni: pensate di utilizzarla più spesso in futuro?

Alberto: Chissà! E’ stata una scelta estemporanea, lì ci stava bene.. è una canzone che ci piaceva moltissimo. Comunque ti ringrazio molto, mi piace molto cantare, ma ho un problema grosso a rapportarmi con la mia voce, credo sia questione di autostima. Il verso “to sing is a state of mind” sembrava quello giusto da cantare per l’occasione.

Matteo: Nel prossimo disco ci sarà un pezzo in cui cantiamo tutti e quattro, e anche il fonico. Ovviamente è una cover pure quella. Ma non sono certo che ti piacerà!

Suona minaccioso… Come nasce l’idea della “Pauper Edition” (cd più un secondo disco “Whispering the Calendar” con copertina disegnata a mano, diversa per ogni copia più poster-gioco)?

Matteo: da tempo ogni nostro disco esce in versione normale e ‘speciale’. Io di formazione sono un grafico, quindi mi piace dedicarmi a queste cose, e molti nostri fan sono persone che amano l’artefatto fisico, non il download immateriale. Inoltre, come sottolineava anche Alberto, dietro ai nostri dischi c’è sempre un concept, o un tema dominante.

Quindi in questo caso la versione ‘pauper’, ossia ‘povera’, è un modo per enfatizzare l’abbandono degli orpelli e ridurre al minimo necessario. Quindi il disco è estremamente minimale, rarefatto, scarno, con porzioni di puro silenzio.

Le grafiche invece sono disegni di animali ‘misti’, tipo un gatto-lucertola, uno gnu-pavone, un gallo-opossum e via così… li abbiamo già venduti quasi tutti e trenta. Il pauper ci ha resi ricchi.

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