E’ sicuramente vero che “non ci sono più i festival di una volta” e che “in Italia non avremo mai un Primavera Sound”. Esauriti però convenevoli e luoghi comuni, veniamo a trattare di un evento come il Mi Ami Festival 2018, a Milano, a bordo Idroscalo, che nella serata di sabato 26 maggio ha avuto il proprio clou e, senza scomodare paragoni importanti, si è qualificato e confermato come un “evento” a tutto tondo.

Tre palchi, anche se i principali sono due e una selva di artisti di estrazione varia, ma con una comunanza di fondo nell’essere figli dell’ultimo decennio, con un paio di vistose eccezioni, senza troppe nostalgie che affossano il programma. Se nella giornata di venerdì erano sfilati Francesca Michielin, Ex-Otago, Cosmo, Coma Cose, Willie Peyote, Frah Quintale, il cartellone di sabato è sicuramente con vista sul rock, coniugato però in molte modalità diverse.

Per questioni di mancanza di ubiquità sarà necessario fare qualche scelta, dolorosa già di principio. E si finirà per gravitare più spesso verso il palco Havaianas, teoricamente il palco “2”, piuttosto che verso un affollatissimo Palco Pertini, collocato all’interno del Circolo Magnolia e gremito in ogni ordine di posti, come si direbbe per una finale di Champions (ah, c’è ovviamente anche il megaschermo per Real-Liverpool, Cristiano Ronaldo gioca con noi).

Più difficile la collocazione del palco Mi Fai: pur animato di tanto in tanto da fantasisti come Auroro Borealo o da certezze come i Black Beat Movement, è spesso più intasato da gente in fila per prendere una birra che da pubblico veramente interessato.

Si comincia così a saltabeccare tra i palchi nella parte di “antipasto”, sole ancora alto e ragazzi che cominciano a sfilare a gruppi. Tutti colorati, tutti alternativi, ma le lunghe file (per la birra, per il cibo, per il bagno) sono ordinate, l’atmosfera è quella di una festa gentile, confermando un’abitudine ai festival che, soprattutto per Milano, è una certezza assoluta e ormai scontata.

Tra i gruppi e gli artisti che aprono il discorso si segnala una particolarmente energica Mésa, cantautrice romana con chitarra e band, impostata su toni di rock ruvido ma anche intimo. E se i Vanarin cominciano a scaldare l’atmosfera in zona Mi Fai, è con l’arrivo di Giorgeness all’Havaianas che le cose cominciano a diventare consistenti.

Capelli azzurri e band particolarmente in forma, Giorgie prende possesso del palco con personalità. Due album alle spalle, tra cui l’ultimo Avete tutti ragione, parte forte fin dalle prime battute, con un set che apre tutto elettrico e aggressivo ma si permette qualche tratto intenso e blueseggiante. Pezzi come la title track dell’ultimo album e Calamite acquistano spessore, anche grazie a una buona formazione d’attacco.

Giorgieness lancia lampi d’azzurro sul Mi Ami Festival 2018

La ragazza lombarda conferma le doti di performer anche a livello vocale. Le tocca una serata ancora luminosa e quasi diurna ma non pare rappresentare un problema a livello di coinvolgimento. La parte “divertente” del concerto, come annuncia lei stessa, comincia con una particolarmente avvelenata Che cosa resta. La ragazza non si risparmia, per l’entusiamo del pubblico, soprattutto femminile, che conosce i testi, molto coinvolgenti e adattabili a situazioni personali, a memoria. “Guarda tu se ogni volta che suono a Milano devo piangere”, dice, prima di lasciare il palco.

Tempo di buttare l’occhio a cosa succede al Palco Pertini, dove l’atmosfera al momento è molto meno diretta e più fluttuante. Dopo l’esibizione di Giovanni Succi sono infatti saliti a bordo i Dunk, supergruppo praticamente al battesimo del palco, formato dai fratelli Giuradei più Carmelo Pipitone (Marta sui Tubi, O.r.k.) e Luca Ferrari dei Verdena.

Il set vede i quattro affrontarsi senza nessuno che prenda la tradizionale posizione centrale. La democrazia sonora però vede equilibri mobili e una caratterizzazione che vede pezzi che si dilatano più in larghezza che in lunghezza. Il pubblico, che pure è palesemente qui per altri gruppi (come le maschere dei TARM dimostrano), è però conquistato dalle vaste volute ipnotiche della band.

Altrove si continua a consumare l’atmosfera classica da festival a molti livelli, strati e generi, in cui un Dragogna o un Appino si fanno avvistare, si fermano per un selfie e buttano l’occhio qui e là.

Si torna all’Havaianas per lo show ad alta energia di Joe Victor: due chitarre, basso, tastiera e batteria per una carica molto potente e ricca di groove, anche in modo qui e là slabbrato da qualche problema tecnico ma senza uscire dallo spartito. La voce flirta con sensazioni black mentre le sonorità sono debitrici del folk, per combinazioni interessanti. Set animato anche dalla circolazione degli enormi materassini a forma di infradito dello sponsor. Lo show della band risulterà tra i più coinvolgenti e “solari” della serata.

joe victor, mi ami festival
Si surfa al concerto dei Joe Victor al Mi Ami Festival 2018

Si rimbalza da un palco all’altro ed ecco i Selton riempire di tropicalia e lustrini il palco Pertini, intanto all’Havaianas arrivano i Germanò, un po’ più statici delle band che li hanno preceduti ma molto apprezzati dal pubblico.

Ed eccoci al momento delle scelte irrevocabili: fiori sul palco per Maria Antonietta all’Havaianas, oppure al Pertini, dove i TARM che celebrano il loro unico concerto dell’anno, sempre accolti dall’entusiasmo di un pubblico fedele come pochi altri? Seguiamo un principio di novità contro le cose note e consolidate, e perciò meglio la ragazza che, pur nell’ambiente da un po’, è palesemente ancora in fase ascendente.

Ed è la scelta giusta: Maria Antonietta sarà tra le esperienze più convincenti, se non la più convincente in assoluto, di tutta la giornata. Introduzione molto ieratica ma di breve durata: M.A. dichiara subito che non ha intenzione di Deluderti, come da relativo album, né di deludere il pubblico. Si apre in chiave pop, sostenuta da un quartetto di strumentisti presto intenzionati a fornire supporti consistenti. Un po’ di classico birignao vocale, qualche atteggiamento, ma anche l’assoluta padronanza del palco e dei propri mezzi.

Presto il senso del sacro lascia spazio a una sensualità tangibile nell’interpretazione. “Mi siete mancati molto”, dichiara, prima di attaccare con Pesci, che va presto in acido e quasi dance. Mentre i colori di fondo e le luci cambiano, Maria Antonietta continua a fornire solidità con qualità di interpretazione che ne fanno apprezzare la maturazione. Il tubino nero che indossa, litigandoci tutto il tempo per tenerlo abbastanza in alto, darebbe spazio a commenti sessisti che ci risparmiamo.

“Questa canzone è per tutte le persone che amate. Che poi sono l’unica cosa che conta in questa vita. Tutto il resto è sovrastruttura”. E sovrastrutture ne fornisce poche nonostante la doppia chitarra e qualche accenno vintage di tastiere. Si passa brevemente a flauto e violoncello per Questa è la mia festa, dal primo e ormai piuttosto remoto album.

La seconda fase vede la ragazza di Pesaro spesso alla Telecaster per continuare con piccole mutazioni che ne mostrano sfaccettature diverse. Così se all’inizio, con i pezzi più pop, era la fisicità a farla da padrona, nella parte più alternative è la musica ad acquistare corpo e suoni sempre più in linea con quello che succede nel mondo alternative oggi, o almeno dai 90s in avanti.

Maria Antonietta, Mi Ami Festival 2018
Personalità e qualità nello show di Maria Antonietta al Mi Ami Festival 2018

Padrona completa della scena, Maria Antonietta prosegue nel trasfigurare pezzi che su disco hanno linee essenziali e che sul palco spesso si trasformano in episodi di rabbia e consapevolezza, spesso presentati con il giusto equilibrio tra Stomaco (sempre per citare i suoi brani) e ironia. Sentita su disco, per esempio, Oceano è un brano molto lineare con qualche incazzatura: qui si trasforma in un rigurgito rabbioso, capace di colpire ma anche di colorarsi di suoni e luci. Probabilmente uno dei set più interessanti in Italia oggi, almeno secondo la categoria di appartenenza.

Altra scelta dolorosa è quella tra i Prozac+ e Colapesce. Si opta per il cantautore siciliano anche per mere ragioni di praticità, ma soprattutto perché abbiamo deciso per un calcio alla nostalgia, almeno per questa serata.

La scelta è già visivamente interessante: testa di pesce spada in testa, Colapesce parte con un’estrema Pantalica, che tuffa le mani subito in sperimentalismi elettronici assortiti, soprattutto senza paura. Ti attraverso (“sei la punta di un iceberg/sei la pensione che non avrò mai”) rimette a posto le cose, fa in modo che il clima si scaldi, gradatamente, così come la voce di Colapesce. Il cantautore che rimane vestito da prete, in abito da messa di Quaresima. Movimenti sfumati si celebrano poi in Vasco da Gama, che ha atmosfere da acquario che non stonano con l’ora tarda.

Reale, da Egomostro, vede la scelta della Gibson “diavoletto”, un satanismo di fondo in antitesi con il passaggio all’abito talare “borghese”. Del resto i simbolismi religiosi sono ovunque: il digramma Xp (iniziali di Cristo in greco) sulla grancassa, un rosone di chiesa raffigurato alle spalle della band, varie ed eventuali.

Adele Nigro passa dalla chitarra e cori al sassofono e cori, ma farà anche il percorso inverso. Con il cambio di chitarre ci si prende gusto, perciò ecco una molto elettrica versione di Egomostro. E l’elettricità sarà uno dei fil rouge di serata, con Colapesce spesso dedito a brevi assoli o comunque protagonismi chitarristici che non si sarebbero indovinati ascoltandolo su Spotify.

Per Sospesi altro cambio di look, con una giacchetta di pelle (con fulmine in mezzo alla schiena) e l’atmosfera che si fa soffusa. Ma il discorso “santa messa” non si interrompe: ecco l’eucarestia distribuita ordinatamente alla prima fila del pubblico. Maometto a Milano acquista molto più nerbo che su disco, ma questo si può dire per quasi tutti i pezzi della serata. Sarà il fatto che “è sempre un’emozione suonare vicino al mare”, come lo stesso cantautore avrà modo di dire.

Odore di fogli bruciati per Colapesce, Mi Ami Festival 2018
Odore di fogli bruciati per Colapesce, Mi Ami Festival 2018

Dedica a Luigi di Maio per Maledetti italiani, tra gli ultimi pezzi in scaletta, così come Restiamo in casa, con il “sento bruciare dei fogli” finale celebrato da un suggestivo rogo della scaletta. Finale in trionfo, mentre gli echi dei Prozac rimbalzano da altri palchi. Qui niente nostalgia ma la consapevolezza di avere di fronte uno dei migliori esemplari della razza “cantautori italiani oggi”, capace di offrire un ventaglio di emozioni davvero di spessore.

Lasciando i dj set ai giusti destinatari, si abbandona la piazza, felici ma stanchi. Però è filato davvero tutto liscio al Mi Ami, per il clima, per l’assenza di zanzare, per i burger vegani. Ma soprattutto per un evento a tutto tondo, ricco, all’altezza, in grado di rappresentare bene una fetta importante della musica italiana di oggi, a molti livelli e per molti pubblici. Che poi, a ben vedere, sono sostanzialmente un pubblico solo, come forse mai prima, nella storia della musica contemporanea.

Foto e testo di Fabio Alcini

 

 

 

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