Sottocultura è il primo disco dei Re Del Kent: la band milanese sembra porsi come obiettivo quello di far sopravvivere la scena alternative rock con testi in italiano, ispirandosi a band che hanno segnato gli anni Novanta e Duemila quali Zen Circus, Teatro degli Orrori, Ministri e Fast Animals And Slow Kids. Contro ogni tendenza, nell’anno più difficile che il settore musicale ha incontrato da molto tempo, ecco un disco che, già dal titolo, ci impone la propria Sottocultura.
“Che dire? È un album molto underground e nasce fisicamente sotto terra. Per essere precisi in un box sotto un supermercato! Precisiamo che nonostante suoniamo grezzi, sporchi e cattivi nella vita siamo molto buoni, precisi e puliti. Il più delle volte“.
Re del Kent traccia per traccia
Dopo una rapida Intro si incominciano a seminare i Campi d’odio, primo ingresso nell’ambientazione di rock oscuro che fa da terreno per tutto il disco.
Domande esistenziali e sonorità molto energiche quelle presentate da Bianco e Nero, già offerta al pubblico come singolo.
Risonanze dark wave per Ribelle, che scava nel profondo, per poi far esplodere la propria voglia in maniera esplicita.
Un intermezzo arpeggiato con Vivi, poi ecco Cunicoli, particolarmente elettrica e ricca di vibrazioni.
Si fiammeggia parecchio di chitarre all’interno di Avvocato del Diavolo, potente e fluida, con uno stile quasi da vecchio metal.
Problemi di tempo (parzialmente superati) all’interno di una scura e ribollente Quindici anni, che chiude il lavoro.
Un disco molto ruggente, ruvido, sporco e incazzato, quello dei Re del Kent, che mostrano prospettive interessanti pur fra qualche imperfezione e slabbratura, che però fa parte del gioco.