Come logo su Facebook ha il proprio nome con una S piuttosto allungata che sembra voler fare un minimo di riferimento a una piuttosto nota catena di supermercati. Ma le canzoni di Saffelli non si trovano sugli scaffali. Si trovano in giro per Milano, la sua città, e sparse per una manciata di singoli, tra cui l’ultimo Alaska (che ok, non è vicina a Milano, ma sentimentalmente forse sì. Ok, lo spiega meglio lui dopo) e nell’ep Ossitocina. Lo abbiamo intervistato.
Raccontaci come sei arrivato fino a questo debutto
È stato un processo lungo, qualche anno fa avevo pronto un disco che per vari motivi non è mai uscito. Poi ho preferito lavorare singolo per singolo, fare un passo alla volta, vedere se i miei pezzi riuscivano ad arrivare alla gente. L’ep è solo un primo passo, quella che in una partita di baseball sarebbe la prima base, sperando che il prossimo passo possa essere un fuoricampo.
Leggo da Wikipedia che l’ossitocina “a livello neurologico favorisce l’attaccamento relazionale, la sua produzione viene stimolata dai contatti fisici affettuosi o anche solo dalla vista di persone amate o bambini piccoli”. Quindi le tue canzoni si propongono di essere l’equivalente di abbracci, foto della fidanzata o di bebé?
Sì mi piacerebbe che fossero un posto sicuro, un posto che quando ci vai ti fa stare bene, vorrei che fossero le parole che vorremmo sentirci dire per stare meglio. Sono canzoni che ruotano intorno a delle relazioni, a dei sentimenti, vorrei che potessero abbracciare le persone.
C’è parecchia Milano nei tuoi testi. Oggi è una città più facile o complicata da vivere? E vedi possibile la nascita di una “scena milanese” in ambito neo-cantautorale? E perché i romani ci riescono sempre e i milanesi mai?
Penso sia facile viverci, bisogna solo abituarsi ai suoi ritmi. È come una donna puntuale, che se la fai aspettare c’è il rischio che se ne sia andata. Non c’è una vera e propria scena qui secondo me perché tendiamo a tenerci le cose strette, a essere gelosi di quello che è nostro. A Roma mi sembra valga di più il ‘mi casa es tu casa’.
Come nasce “Alaska” e perché l’hai messa in cima all’ep?
Alaska nasce in un pomeriggio d’estate. È il primo pezzo dell’ep, ma è stato l’ultimo che ho scritto. È un viaggio che parte da via Padova e porta in Sud America, con le nuvole color paprika a far da sfondo e con l’Alaska nel cuore. Alaska non intesa come uno Stato, ma come indice di temperatura di uno stato d’animo. Quel sentimento che ci fa sentire freddi, che ci rende il cuore ghiaccio, che ci fa calare il sole alle quattro di pomeriggio. È in cima all’ep perché secondo me è il pezzo più forte, perché nelle cartine geografiche sta sempre in alto, e perché i brani sono in ordine alfabetico. (Me ne sono accorto ora, in realtà).