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(Immagine in alto: quadro di Giovanni Pulze, dalla serie City Angels-Vienna)
“… E non ho fatto altro che sentirmi sbagliata, e ho cambiato tutto di me perché non ero abbastanza… e l’ho capito soltanto adesso… che avevi paura”.
Carmen Consoli – “Blunotte“
Sentirsi sbagliati in un mare di incertezza. Se dovessi descrivere la sensazione della quarantena, probabilmente la racconterei così. Incertezza sul futuro economico e sociale non solo del proprio orticello, ma del mondo intero, cosparsa di senso di inadeguatezza perché qualcuno, dal suo divano, sta facendo meglio di noi. Non è veramente un problema se non abbiamo imparato a cucinare la vera pizza napoletana o se i pomeriggi sono trascorsi in compagnia di un libro o di una serie TV anziché dedicarsi a lezioni di mandarino e a pratiche masochiste di Zumba su Instagram. Non è un problema a meno che non lo sia per chi lo ha scelto. In quarantena come nella vita.
Si vorrebbero cercare soluzioni, ma si hanno le mani legate: allora ci si distrae, si tenta di rimuovere il dolore della distanza
Quello che si legge tra le righe di questo momento storico è una grande confusione tra quello che si dovrebbe, quello che si vorrebbe e quello che si è realmente in grado di fare. Si vorrebbero cercare soluzioni, ma si hanno le mani legate: allora ci si distrae, si tenta di rimuovere il dolore della distanza, nella migliore delle ipotesi, della malattia e del lutto nelle peggiori, tenendoci in costante allenamento fisico e mentale, nella continua speranza di avere così le risposte che cerchiamo. Ma la domanda qual era?
Chi si butta a capofitto nel lavoro, perché se si ferma è perduto, e chi un lavoro non lo ha più e non sa dove sbattere la testa; chi ha sempre lo smartphone in mano in cerca di aggiornamenti sul bollettino di guerra e chi ha smesso di ascoltare i notiziari e fa finta di nulla; chi dalla finestra osserva i movimenti del vicinato e chi è sempre fuori nonostante i divieti; chi fa giusto e chi invece no, perché non si comporta come secondo noi dovrebbe. Ma il cielo non doveva essere sempre più blu?
Perché è vero che stiamo navigando nello stesso mare, ma di certo non condividiamo la stessa barca. Ognuno ha la sua storia, il suo percorso, le sue piccole e grandi mancanze. Non fa paura più del virus considerare le proprie come le uniche degne di attenzione? La sensazione di confortare, anziché condannare, sarà sempre quella che preferisco. Un po’ come quando senti un bel discorso e poi alle parole seguono i fatti.
Chiara Orsetti
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