Nel 2013 in Italia escono un sacco di dischi nuovi. Per esempio Sotto Casa di Max Gazzè, Traditori di tutti dei Calibro 35, L’album biango di Elio e le Storie Tese, L’anima vola di Elisa, Aspettando i Barbari dei Massimo Volume, Bravo ragazzo di Guè (ancora Pequeno all’epoca), il disco omonimo di Cesare Basile, Del suo veloce volo di Battiato con Anthony & The Johnsons, L’inizio di Fabrizio Moro. Poi Fantasma dei Baustelle, Molto calmo di Neffa, Invulnerabile di Tricarico, raccolte per i Negrita e Francesco De Gregori. Arrivano anche Nella tua luce dei Marlene Kuntz e Venga il Regno dei Virginiana Miller, in una botta di spiritualità per l’indie. A Sanremo vince Mengoni, escono i dischi dei Modà e di Paola e Chiara. Come adesso, tipo.
Da Sanremo esce anche la compilation (si chiamava ancora “compilation”) Sanremo 2013, che arriva al numero 1 della classifica FIMI. Ottimo riscontro di vendite anche per la ripubblicazione della Trilogia del Potere dei Litfiba. La Sony pubblica anche Le 100 canzoni italiane di oggi, una mega raccolta in cinque dischi che va da Ramazzotti a Raf, passando per Venditti, Vanoni, Grignani, Ferreri, Antonacci, Dolcenera, Silvestri, Gemelli Diversi, La Crus. Il 2013 è anche l’ultimo anno senza TRAKS. Diciamocelo.
Ma il 2013 è anche il primo anno in Italia per un’invenzione svedese che sta prendendo piede nel mondo e che cambierà totalmente le nostre abitudini musicali. Si chiama Spotify ed esordisce proprio durante il Festival, sette anni dopo essere stata introdotta sul mercato dal suo inventore Daniel Ek e dai suoi soci.
Gli anni 2000 erano stati quelli della guerra per bande nota come “pirateria digitale”, in cui le major discografiche si erano svenate per combattere in tribunale e casa per casa i download clandestini, perdendo su tutta la linea. Quando Ek emerse con la sua idea di streaming legale gratuito o a pagamento limitato, fu prima combattuto, poi semplicemente osteggiato, poi piano piano accolto nei ranghi e, in qualche modo, “comprato” dall’industria musicale che capì come fosse quella l’ultima opportunità di sopravvivenza, per un settore che licenziava dipendenti e perdeva miliardi su miliardi.
Spotify non ha restituito la centralità del denaro e del potere alle case discografiche, non del tutto almeno. Ma ha permesso loro di sopravvivere e di riprendere a crescere, una volta tagliati i costi del gigantismo dei decenni precedenti.
L’ufficio stampa italiano di Spotify in questi giorni sta diffondendo le cifre di questo decimo anniversario: un incremento del 1200% nel numero di stream a livello globale per gli artisti italiani, con 22 miliardi nel 2022 (contro 180 milioni nel 2013), mentre gli stream di musica italiana sono cresciuti di oltre il 20% soltanto nell’ultimo anno.
Gli artisti italiani presenti sulla piattaforma sono arrivati a 196 mila (+650% rispetto ai 26 mila iniziali). E dopo 5 anni, gli artisti italiani ascoltati nelle playlist editoriali di Spotify all’estero sono oltre l’800% in più rispetto al momento del lancio. “Le dimensioni del mercato della musica registrata nel 2012 rispetto al 2021 sono più che raddoppiate passando da 150,9 milioni di euro a 332 milioni di euro secondo gli ultimi dati FIMI” dichiara Federica Tremolada, Managing Director Spotify per il Sud e Est Europa.
Ecco, c’è un motivo per cui si parla di “mercato della musica”: vero che le cifre sono raddoppiate se le si guarda in modo globale. Vero anche che però gli incassi per gli artisti sono tutt’altro che aumentati. È ben noto come Spotify conceda agli artisti soltanto le briciole di quanto incassato, con contorno di polemiche e di proteste che periodicamente esplodono contro l’azienda neroverde.
Spotify ha cambiato totalmente il nostro modo di ascoltare la musica, che ormai è a portata di mano sempre e comunque, mentre prima come minimo dovevi scaricare file nel tuo iPod, magari dopo ore di download imperfetto e clandestino su emule o Napster. Per non parlare di vinili, cassette e cd, naturalmente, di qualità enormemente superiore ma anche infinitamente meno comodi.
Vuoi mettere avere la musica del mondo tutta in tasca? Certo, i bassi sono compressi, la qualità di riproduzione è quella che è, ma tanto alla lunga si incazzano Neil Young e pochi puristi, per lo più nessuno ci fa veramente caso.
Le “compilation” sono state sostituite dalle playlist, nessuno o quasi pubblica più raccolte (figuriamoci se prova a venderle), lo streaming ha accelerato in modo esponenziale la crescita dell’itpop o indie pop che dir si voglia, ma anche l’hip hop, la trap, l’hyperpop si sono presi la scena, complice la voglia di ascoltare e di scoprire dei teen, sempre a caccia di musica che possa dialogare con i propri desideri e le proprie delusioni. Non è un caso se le dieci canzoni italiane più ascoltate di sempre su Spotify appartengano tutte a questo mondo.
Spotify è il male? Ovviamente no. Per certi versi è un mezzo, come il telefono o il pc. Perciò è neutro, dipende dall’uso che se ne fa. E l’uso che se ne è fatto è stato abbastanza perverso, soprattutto nei confronti degli artisti. Un altro problema è che ha spazzato via quasi tutta la concorrenza: resiste Apple Music ma a condizioni simili; Deezer, Bandcamp, Soundcloud si sono costruiti delle nicchie di appartenenza e poco più. Ma il gigante Spotify torreggia e fa un po’ come cazzo gli pare.
Quindi la legittima aspirazione, nell’augurare buon compleanno a Spotify, sarebbe quella di vedere crescere un paio di competitor degni di questo nome, che lo costringano ad abbassare un po’ le arie e ad aumentare un po’ i compensi per gli artisti. Ritrovando magari qualcosa dello spirito rivoluzionario che ne aveva caratterizzato gli inizi.
Le dieci canzoni italiane più ascoltate di sempre su Spotify
1. Salmo – IL CIELO NELLA STANZA (feat. NSTASIA)
2. BLANCO, Sfera Ebbasta – MI FAI IMPAZZIRE
3. BLANCO – Notti In Bianco
4. Fred De Palma – Una volta ancora (feat. Ana Mena)
5. Sangiovanni – malibu
6. thasup – blun7 a swishland
7. Rkomi, Junior K – NUOVO RANGE (con SFERA EBBASTA)
8. Coez – La musica non c’è
9. Capo Plaza – Tesla (feat. Sfera Ebbasta & DrefGold)
10. Ernia – Superclassico