Carne cruda a colazione è il titolo del nuovo album di inediti di Succi, in uscita per La Tempesta Dischi – Soviet Studio. Secondo lavoro discografico a proprio nome del co-fondatore e autore dei Bachi da Pietra, Carne cruda a colazione vede nuovamente il lavoro di produzione di Ivan A. Rossi (Baustelle, The Zen Circus, Dimartino), che ha già lavorato sul precedente disco.
L’album arriva a due anni dal precedente Con ghiaccio, primo disco firmato Succi, dopo il vinile per sola voce in cui ha inciso i versi di Giorgio Caproni de Il Conte di Kevenhuller e un album di cover di brani di Paolo Conte, intitolato Lampi per Macachi.
“Ogni mia canzone è carne viva, te la presento cruda, battuta al coltello, pezzo dopo pezzo: una proposta che non è fuori dal mondo, solo fuori dallo schema.”
“Neanche gli algoritmi sanno dove collocarmi, poveracci. Sarà un difetto? Sono difettoso. Sono un prendere o lasciare”.
Giovanni Succi traccia per traccia
Sono già crudi, e così resteranno, i suoni e i concetti di Povero zio (ma sarà veramente zio?), un discorso bello fitto a proposito di credenze e opinioni.
Senza pause si passa ad Algoritmo, già presentata come singolo: Succi si veste un po’ di synth pop, con qualcosa dei Devo e qualcosa dei Kraftwerk in mente, per commentare con un filo di sarcasmo gli ascoltatori casuali.
Fischiettii e un brackground sonoro importante per Grazie per l’attesa, un messaggio fintamente rassicurante e quasi melodico.
I melliflui ammorbidisce un po’ i suoni, anche se con qualche retrogusto tribal-elettronico, per poter sciabolare con calma i personaggi del titolo. C’è sempre del Paolo Conte alla base di questa tipologia di canzoni di Succi.
Nostalgia e perfino romanticismo penetrano fino ai ricordi di Cabrio, con pianoforte e violino: certo è Tom Waits e non Moccia che viene in mente, ma qui il panorama è un po’ meno crudo.
Poi si torna a picchiare, soprattutto sulle pentole: Arti (nel senso di “parti del corpo, gambe, braccia” e non di “attività artistiche”) sviluppa discorsi fisici con qualcosa di jazz, come del resto già anticipava il testo di Algoritmo, e qualcosa di scomposto.
Un movimento fluido corrisponde a La risposta, brano quasi rock-pop (qui si può far riferimento ai La Crus, per trovare un metro di paragone), con una buona linea di basso, in una dialettica di domande e risposte.
Grigia descrive un’alba alessandrina con modalità sintetiche ma anche con una certa morbidezza (va detto per chi non è di zona che “grigie” non sono soltanto le mattine piemontesi ma anche la maglia della squadra di calcio che fu di Rivera).
Si passa poi a Meglio di niente, che alza il livello di drammaticità, con passaggi sottolineati dal pianoforte, con un crescendo importante e continuo.
Un pezzo un po’ giocoso come Balene per me chiude l’album su ritmi alti e con sonorità agili. Quasi un pezzo estivo.
Dai per scontato di trovare originalità in un disco di Succi, e la trovi. Ma ormai bisogna dare per scontato anche di trovare brani (e qui il termine nn è scelto a caso: si tratta spesso di canzoni fatte a brani, cioè sbranate) che ti colpiscono alla bocca dello stomaco, alla mascella, all’arcata sopraccigliare. Insomma ne esci sempre un po’ pesto ma contento. E spesso ne vuoi ancora.