Colpire, ha colpito. Almeno se si giudica dai social, che sono sempre un termometro, anche se non così affidabile come quello che pensiamo, dei pensieri delle persone.

L’Ultimo Concerto è stata un’iniziativa forte, messa in campo da centotrenta live club con la complicità di tanti artisti, molti famosissimi, da Manuel Agnelli e Rodrigo D’Erasmo ai Subsonica, da Ligabue ai Pinguini Tattici Nucleari. E molti un po’ meno famosi ma altrettanto colpiti, insieme ai propri tecnici, dallo stop ai live. Un mega evento annunciato sui social ma che poi, di fatto, si è trasformato in centrotrenta messaggi, centotrenta richieste d’aiuto se vogliamo, perché l’ultimo concerto che abbiamo visto non sia davvero l’ultimo.

Le reazioni sono state miste: dalla solidarietà al “come vi permettete, ci avete trollato”. Molti gli indignados, a dire il vero, qualcuno più ragionevole e qualcuno meno, come sempre in questi casi. Anzi come sempre e basta.

La critica principale è stata sul target: ma come, ve la prendete con noi che eravamo già sensibilizzati, quando l’obiettivo dovrebbe essere il governo?

A parte che bisognerebbe interpretare anche perché ci si senta offesi dal fatto che non si è tenuto un evento gratuito e in streaming, quindi non un concerto a Wembley per cui hai sborsato cifre imprecisate e hai dovuto affrontare fatiche e spostamenti, possa essere interpretato come un’offesa personale.

Ma anche nel merito la critica ha delle falle: intanto, la platea di riferimento dei musicisti è, sorpresa, il pubblico dei concerti. Diciamo che se al ministro Franceschini togli il concerto degli Zen Circus, forse (e dico forse) sopravvive bene lo stesso.

E poi queste eccezioni sollevate ricordano un po’ le lamentele dei pendolari quando i mezzi pubblici entrano in sciopero. Ma certo che ci incazziamo tutti, ma certo che noi non c’entriamo, ma certo che l’obiettivo sta più in alto e gira in taxi o in auto blu. Ma come si fa a far inceppare il meccanismo se non si infila un bastone tra le ruote?

Abbiamo perso l’abitudine alla protesta. Ci siamo dimenticati che, quando alzi la voce, magari dai fastidio ai timpani di tutti, ma qualcuno ti sente anche. Qui siamo di fronte a una protesta silenziosa e pacifica, moderata anche se vagamente fastidiosa per chi si aspettava lo spettacolo. E anche questo piccolo fastidio non ci va bene, non lo accettiamo, solleviamo questioni.

E comunque se il target era così sbagliato, perché si sta parlando così tanto dell’evento? Se la comunicazione, come qualcuno ha detto, è stata fatta così male, come mai Facebook e Instagram sono invasi da chi si schiera pro e chi si schiera contro la protesta, sollevando attenzione intorno a un problema che stava lentamente ma inesorabilmente scivolando in secondo, terzo, ultimo piano?

È vero, non sono soltanto i musicisti e i “tecnici della musica” a essere colpiti dalla pandemia. È vero che i live club hanno i loro torti storici, senza fare di tutta l’erba un fascio, ma senza nascondere le criticità che esistevano anche prima del Covid. È vero che anche in questi giorni, tipo nello scontro fra Assomusica e rete Bauli in piazza/Musica che gira, non è che il settore musicale stia dando proprio e sempre prova di unità di intenti.

È vero infine che la soluzione al problema non sembra né semplice né veloce, visto che, anche se lo stesso ineffabile Franceschini ha suggerito che i teatri possano riaprire a fine marzo, prima di un’incidenza consistente delle vaccinazioni sembra difficile riavere una stagione di musica dal vivo degna di tale nome. Però ecco, almeno qualche assegno si potrebbe staccare, giusto per dare un po’ di ossigeno a chi sta iniziando a cambiare lavoro per mettere qualcosa in tavola.

Il timing della protesta è stato scelto in modo corretto, secondo me: siamo all’inizio della settimana in cui tutta l’Italia si accorge che esiste la musica, grazie a Sanremo. E siamo a poche settimane dall’insediamento di un governo che, almeno secondo premesse e promesse, dovrebbe dare una sgasata e accelerare sul piano di ricoveri, vaccini, ricostruzione economica.

Io la protesta dell’Ultimo Concerto la vedo soprattutto come la mano di uno che affoga e cerca un salvataggio disperato. Sta (anche) a noi cercare di tendere la nostra, di mano, e offrire solidarietà. Se invece mettiamo in quella mano una penna e cerchiamo l’autografo, forse non finisce benissimo.

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