Urban 5, “Matching Àlea”: recensione e streaming


Dopo avere frequentato la musica da camera e quella sinfonica, la contemporanea e il jazz, il vibrafonista Andrea Biondi ha deciso di cercare una sintesi. E per farlo ha voluto affidarsi letteralmente al caso. Il suo nuovo disco, Matching Àlea, in uscita per Auand Records, è proprio questo: l’utilizzo consapevole, quasi matematico, del caso come punto di partenza di un intero progetto.

Il suo quintetto mette insieme elementi fortemente voluti dal leader e senza i quali il progetto Urban 5 non esisterebbe. Biondi ha infatti chiamato a raccolta una doppia coppia molto ben rodata che vede da un lato Daniele Tittarelli (sax alto) ed Enrico Bracco (chitarra), che hanno condiviso altri progetti nel passato anche all’interno della Auand Family; e dall’altro una sezione ritmica composta da Jacopo Ferrazza (contrabbasso) e Valerio Vantaggio (batteria), anche loro reduci da diversi anni di palchi condivisi e progetti comuni.

Urban 5 traccia per traccia

Samba Silio apre il disco con movimenti fluidi ma anche con qualche conversione improvvisa e nervosa; il sax è spesso al centro dell’azione ma non sovrasta gli altri strumenti.

Si procede con una Pigneto Uncompromised che svaria e sfarfalla, prima che il basso non si cimenti in lavori sotterranei un po’ isterici; alla fine il treno parte e con lui il vibrafono di Biondi, per esiti più luminosi.

Piano sequenza sembra avere programmi complicati, con un ritmo che parte forte e poi un intermezzo aereo e angelico con un recitato in inglese. Poi si riparte ma il pezzo alterna momenti sonori cupi e intermezzi cinematici.

Un accelerazione dai contorni psichedelici, ma anche piuttosto breve, è quella di T.T.T.T., con il drumming e la chitarra in particolare spolvero. Si recupera la calma con Brackland, almeno sulle prime. Ma c’è un movimento crescente che finisce per dominare e affermarsi sul brano, portandolo a vette piuttosto rumorose.

Introduzione ragionata per Psicosi inversa, ma dura poco: il ritmo si spezzetta, poi recupera, poi si arena, poi verso il finale decide per un’esplosione più colorata che potente.

Transizione al doppio salto mette al centro l’archetto del contrabbasso, che poi passa la palla a una chitarra particolarmente morbida: il tutto evolve nel pezzo più notturno dell’album, con tratti sognanti.

Ed ecco quindi il Doppio salto dodecafonico, un’esecuzione che si fa beffe delle complicazioni di ritmo, mettendosi al servizio di una fluidità mobile e scintillante.

Ciccicoccò è giocosa per il titolo ma non moltissimo per uno svolgimento liquido che termina però in un assolo di batteria molto solido.

Si chiude con Lament, in cui a “lamentarsi” è soprattutto il sax, mentre tutti gli altri strumenti fanno il possibile per distrarlo dalla sua malinconia.

Colori spesso forti per il disco degli Urban 5. Ma ciò non incide sulla vivida freschezza di un album che rimane nell’ambito del jazz ma flirta volentieri con generi diversi, tenendo alto il livello di tensione e di attenzione per tutto il proprio percorso.

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