Gianni Maroccolo, “Alone, Vol. 3”: recensione e streaming
Esattamente un anno dopo l’uscita del primo capitolo, è uscito il 17 dicembre per Contempo Records Alone vol. III, nuova tappa del “disco perpetuo” di Gianni Maroccolo: un progetto musicale che andrà avanti all’infinito (con due release l’anno, il 17 dicembre e il 17 giugno).
Palude è il sottotitolo di questo terzo volume, che affronta un tema difficile ed estremamente sensibile: quello della violenza contro i più deboli, in particolare donne e bambini.
Due gli artisti ospiti: l’autore e compositore Luca Swanz Andriolo e Nina Maroccolo, che ispirandosi al tema del disco ha scritto “Non possiedo nome eppure m’invadono tutti”. Un testo che viene recitato da Andriolo in alcuni punti dell’album, facendo scaturire una meditazione introspettiva.
L’animale-simbolo scelto per questo terzo capitolo è la libellula, figura dal forte significato simbolico. Questo insetto leggiadro ed elegante, il cui habitat naturale è la palude, nella cultura occidentale è emblema di equilibrio, pace e libertà. Nata come larva nel fondo fangoso di uno stagno, la libellula riesce a evaderne, trasformandosi in un animale alato in grado di elevarsi da terra. La libellula rappresenta dunque la trasformazione, la ricerca della verità e la transizione dall’infanzia all’età adulta.
Gianni Maroccolo traccia per traccia
Si parte piano, con i movimenti calmi e ripetuti di Storia di Ioletta, unico movimento di durata, diciamo così, “pop” del disco (poco più di quattro minuti), privo di voci umane e messo a mo’ di introduzione.
The Slash invece si allunga parecchio, e apre con un recitato molto teatrale, prima che sensazioni oscure tendano a impadronirsi della scena. Poi il movimento si fa denso e robusto, con piccoli suoni e rumori che scappano in ogni direzione, accompagnando una marcia più ambiziosa che trionfale. Nella suite ci sono momenti di calma ricchi di tensione, seguiti allo sfogo rumoroso della stessa tensione. C’è posto per una lenta ascesa, quasi una scalata elettrica e poi torna il recitato, in forma di lamentazione.
Più contenuti e moderati i suoni e le sensazioni di Catene: gli ingredienti utilizzati per questa suite sono più o meno gli stessi, ma il mix utilizzato è differente e anche il recitato è più ricco di pathos. Ma com’è normale che sia, il brano cambia in corso d’opera, si modifica e si plasma verso situazioni più dinamiche e acuminate.
Non propriamente ambient, non proprio post rock, con qualche memoria del rock che fu ma con sensazioni molto più diffuse e allargate e pensieri più liberi, il nuovo disco di Gianni Maroccolo mette in evidenza una delle menti più brillanti della musica italiana degli ultimi decenni.