“Dopo tutto questo tempo” è il nuovo album de La Municipàl, disponibile da oggi, venerdì 24 maggio: un lavoro intimo e profondo che celebra le relazioni umane, quelle che resistono alle avversità della vita e quelle che si frantumano nel corso del tempo.
Dopo tutto questo tempo è dedicato a quelle persone che negli anni sono rimaste vicino all’artista, nonostante tutto. Tra brani già editi e tracce nuove, le dodici canzoni che riflettono l’attitudine live attraverso sonorità alternative rock che uniscono accompagnamenti di chitarre a testi di un’ironia tagliente e profonda. La Municipàl riflette sulla complessità della natura umana, ripercorrendo momenti ed esperienze cruciali della propria vita personale e artistica.
Dopo tutto questo tempo è una dedica a quelle persone che restano nonostante tutto, che ti stanno accanto nel corso degli anni e che hanno imparato a convivere con la tua vera natura. È un disco estremamente sincero e senza filtri, un omaggio al bene ma soprattutto al male che ci facciamo, e la musica in quei frangenti arriva sempre a salvarti, come un dono raro. Le canzoni sono tutte nate da momenti cruciali della mia vita negli ultimi anni, sono tutti pugni in faccia ricevuti: è il disco in cui sento più urgenza espressiva
La Municipàl traccia per traccia
Tutti i problemi causati da Il sesso tra ex aprono il disco in modo abbastanza dinamico: un classico brano in stile Municipàl, fatto di paradossi e malinconia, con un’apoteosi di immagini che si apre per una seconda parte del brano esplosiva e veemente.
Si va in acustico con Cemento, che parla di ragazzine tristi e della tendenza a rovinare tutto: una ballata avvolgente e anche enfatica, in cui la poesia e la trivialità vanno di pari passo senza stonare mai.
Ecco poi Odio cantare, presentata appena prima del Concertone, che accelera e fa proprie le evoluzioni del pop, operando contrasti tra musica allegra e contenuti che vanno in direzione opposta.
Tra pioggia e orgasmi, c’è la tristezza di Interrotti, racconto di una lontananza che provoca dolore e molti risentimenti per una rottura mai sanata del tutto. Con qualche pentimento nel finale.
Ecco poi Giacomo, inevitabile celebrazione della paternità e di ciò che cambia nella vita: il rock è morto, la techno impazza, si sbagliano i dischi ma per fortuna ci sono sempre nuove parti di sé da scoprire.
E a proposito di ritmi dance, ecco Le hit estive, che sembra emergere da un dancefloor, ma per parlare di condizione naturale, del boom dell’Albania a spese del Salento, del fatto che non ci si ama più. Episodi (presumibilmente inventati, almeno spero) tirano in ballo Colapesce, i Baustelle, Cosmo, a celebrare una scena che continua a stimarsi e rispettarsi.
Dopo il breve intermezzo di Les yeux de, ecco tutti i turbamenti, ancora elettronici, di Volevo solo parlarti, che mischia argomenti, attualità, dettagli di vita e sentimenti, montando il tutto su ritmi robusti e muscolari.
Questioni di vento quelle che si affrontano in Maledetto Maestrale, un’altra storia di perdita e di resa, questa volta più malinconica che rabbiosa. Vomitare fa sentire bene, ci racconta Le antenne, canzone ricca di battiti e di sensazioni e di sigarette, che si espande gradualmente ma in modo quasi incontenibile.
Arriva quasi a fine disco Dopo tutto questo tempo, ballad mossa che è anche la title track del disco, cantata con voce calda e colorata da piccoli suoni di synth. A chiudere, 60 secondi di noi, una outro strumentale e giustamente malinconica.
Per quanti progetti collaterali coltivi, La Municipàl sarà sempre la “casa” di Carmine Tundo e lo dimostra disco per disco, canzone per canzone: con questo disco si mette al centro, perfino più del solito, il tempo e i sentimenti di perdita che porta con sé, senza quasi mai abbandonarsi a una sensazione di nostalgia fine a se stessa.
Anzi, i discorsi sono sempre fluidi, sempre in movimento, spesso impetuosi e difficili da controllare, come i sentimenti e le emozioni che viaggiano sempre al centro di ogni canzone de La Municipàl, anche quando si parla dei disastri dell’attualità o si accenna alla politica.
Alla fine si canta sempre di e fra le macerie, che siano quelle di una relazione o quelle di una guerra. E la voce e la penna di Carmine riescono a regalare brividi sempre nuovi, mescolando cantautorato, pop, rock, alternativa e qui incrementando un po’ la dose di elettronica, senza che questo stravolga un lavoro omogeneo e coerente.